RECENSIONE: “Bill”, di Helen Humphreys

Titolo: Bill; Autrice: Helen Humphreys; Casa editrice: Playground; isbn: 9788899452353; Traduzione: Chiara Brovello; pp. 216 circa; prezzo € 17,00; Data di pubblicazione: 15/10/2020.


TRAMA

Canwood, cittadina del Saskatchewan (Canada), 1947. Leonard Flint è un bambino solitario, che stringe un’amicizia anomala con il barbone del villaggio,un giovane uomo noto come Bill Zampe di Coniglio. Bill vive in un rifugio di fortuna scavato alla base di una collina, circondata da una vasta prateria. È silenzioso, sgarbato, selvaggio, e tiene a distanza tutti, tranne il piccolo Leonard, cui permette di accompagnarlo quando deve piazzare le trappole per i conigli selvatici – dopo averli catturati gli strappa le zampe, per poi rivenderle come portafortuna. Il piccolo Leonard non desidera altro che trascorrere del tempo con Bill, che ama con un’ammirazione e una dolcezza straordinarie, a tratti inquietanti. Agli occhi del bambino, la pacatezza di Bill, i suoi silenzi, la sua generosità spiccia, incarnano un mondo ideale di affetto sincero, naturale, istintivo, e rappresentano anche la possibilità di fuga da un ambiente violento che lo opprime: a scuola, infatti, Leonard è perseguitato dai bulli e, a casa, il padre alcolizzato è molto severo e poco incline a tenerezze. Sarà quindi per Leonard un autentico shock vedere Bill compiere un atto crudele e apparentemente inspiegabile. Un gesto definitivo che alimenterà ancora di più l’ossessione di Leonard per Bill, e che avrà conseguenze ancor più drammatiche negli anni a venire, in particolare dodici anni dopo, quando Leonard sarà un giovane e brillante psichiatra nel più grande istituto di igiene mentale del Canada.

RECENSIONE

“Non so spiegare la sensazione che provo quando corro con Bill sotto lo sterminato cielo azzurro della prateria. È come se mi guidasse fuori dal buio, fuori da un senso di solitudine che nemmeno sapevo di provare.”

Ci sono storie destinate ad arrivare alla nostra coscienza più di altre, storie che toccano nel profondo, che fanno vibrare il cuore e inumidire gli occhi dalla commozione, far stringere istintivamente i pugni come se dovessimo acciuffare un’emozione, e solo quando le nocche diventano bianche riusciamo ad allentare la presa, perché sentiamo che quella emozione è al sicuro, dentro di noi.

Bill, ispirato ad una storia vera, non è un libro come tanti, è il libro che spero possiate leggere tutti.

Tanti sono i temi che racchiude e tocca: racconta di solitudine, diversità, rapporti morbosi, disagio, sofferenza, emarginazione, indifferenza, violenza, malattia, bullismo, inadeguatezza, ma anche di amicizia, altruismo, comprensione, accettazione.

Nel 1947, Leonard Flint è un ragazzino di dodici anni, minuto e solitario. Si è trasferito da un paio d’anni a Canwood, in Canada, e non ha amici, fatta eccezione per un uomo adulto, Bill, che per vivere vende zampe di coniglio come portafortuna e, a volte, si incarica di svolgere piccoli lavori saltuari. Bill tiene a distanza le persone, vive con i suoi due cani in una casa costruita con le sue mani dentro una collina, a Sugar Hill, non ha famiglia, e parla poco. L’unico con cui si relaziona è Leonard, a sua volta inspiegabilmente attratto dal loro legame, legame che le altre persone non approvano, sia perché Leonard è poco più che un bambino, sia perché Bill “non è un uomo come gli altri”.

Leonard è costantemente bullizzato a scuola da il cobra, preso di mira perché “nuovo”, anche se frequenta la scuola ormai da un paio d’anni,

“Perché mi odia? Io non gli ho fatto niente.”

Nonostante sia mingherlino, corre veloce, corre con tutte le sue forze, quasi a voler mettere quanta più distanza possibile tra lui e ciò che ha costantemente vicino. Corre in cerca di libertà, corre per seminare la solitudine, per soffocare un dolore che ancora non sa di provare, non sa che lo sta segnando. Corre da Bill, con il quale può essere semplicemente se stesso. Ma all’improvviso, quell’unica via di fuga si interrompe drasticamente, perché in maniera del tutto inaspettata, Bill compie un atto inspiegabile e anche il lettore ne rimane sconvolto, è un colpo di scena che avviene a poche pagine dall’inizio del romanzo, il primo di tanti e che porterà i due a non vedersi più.

“Mi manca Bill, mi manca quel pezzo del mio passato in cui ci conoscevamo e ci appartenevamo. E mi manca la possibilità reale di un lieto fine. Mi manca l’invenzione di una macchina che trasformi un’azione sbagliata in pensiero, la rabbia in amore.”

Trascorrono dodici anni, Leonard Flint è un giovane medico psichiatra appena assunto all’Istituto Weyburn, una struttura molto grande e conosciuta in tutto il Paese per la sua politica progressista, in cui si sperimenta un approccio nuovo ai disturbi mentali, in particolare si somministra droga ai pazienti (ma anche ai medici stessi), LSD, per sondare più in profondità il subconscio, le cause e le origini dei disturbi. Leonard si trova di fronte ad un metodo che non approva fino in fondo, sia perché lui deve, generalmente, avere il controllo, e questa situazione non glielo permette, sia perché reputa rischioso sottoporre persone già emotivamente fragili a questi esperimenti di modifica del comportamento. Non può che adeguarsi e iniziare il suo lavoro, ma da subito riscontra diverse problematiche: non riesce a instaurare un contatto con i pazienti, si sente inadeguato, e in realtà non è capace di seguirli per come dovrebbe perché proprio in questo Istituto incontra Bill, profondamente cambiato rispetto a dodici anni prima, e che non lo riconosce. Preso com’è dal ricreare un rapporto di fiducia con il suo amico di infanzia, perde di vista le sue responsabilità, con gravissime conseguenze, conseguenze che lo indurranno a sottoporsi a sua volta ad analisi e a riportare in superficie dolorosissime ferite del passato, fatti che ha cancellato dalla memoria presente e che possono spiegare il motivo della sua ossessione per Bill.


Helen Humphreys è riuscita a offrirci un romanzo notevole ed indimenticabile, con una scrittura coinvolgente atta a tratteggiare con mano delicata stati emotivi e psicologici dei personaggi spesso complessi, come si può immaginare, che non lasciano il lettore inerme bensì partecipe e vigile, commosso e scosso, emozionato e sopraffatto. Chi legge è a tal punto calato nella storia da non riuscire a interrompere il romanzo fino alla fine, quando scopre anche qualcosa di nuovo su se stesso e sulla propria sensibilità.


Credo che non ringrazierò mai abbastanza Riccardo Cataldi per avermi proposto la lettura di Bill. Non perdetelo, ne vale davvero la pena.