RECENSIONE: “Company Parade”, di Margaret Storm Jameson (Fazi Editore)

La recensione di oggi riguarda il primo libro della trilogia Lo specchio nel buio,
scritto da Margaret Storm Jameson e pubblicato da Fazi Editore,
dal titolo Company Parade. 


Autore: Margaret Storm Jameson; Titolo: Company Parade; Casa editrice: Fazi Editore; Collana: Le strade; pag 404; Prezzo €18,00; Codice isbn: 9788893255585; Data di pubblicazione: 03/10/2019

TRAMA

«Si può non amare questo romanzo meraviglioso? Lasciatevene incantare, lasciatevi assorbire dalla verosimiglianza dei dialoghi, dal rumore dei pensieri, da quello che i personaggi si dicono e soprattutto da quello che non si dicono. Quando sarà finito tornerete alle prime righe della prefazione, in cui l’autrice dice che Company Parade è il primo romanzo di un ciclo, chiamato Lo specchio nel buio. Sarete tanto affamati della sua scrittura, delle sue storie, che quella di leggere altro di suo non vi sembrerà più una semplice dichiarazione, ma una luminosa e immancabile promessa». (dall’introduzione di Nadia Terranova)

Introduzione di Nadia Terranova
Traduzione di Velia Februari

Nel 1918, all’indomani dell’armistizio che pone fine alla grande guerra, la giovane Hervey Russell racchiude tutta la sua vita in un baule e dallo Yorkshire si trasferisce a Londra, lasciandosi alle spalle il marito e il figlio piccolo. Non ha denaro né esperienza, ma ha la forza di volontà della nonna imprenditrice e i sogni della gioventù; è forte e vulnerabile al tempo stesso, a muoverla sono la voglia di affermarsi e il desiderio di assicurare al figlio un futuro migliore. Mentre tenta di sfondare come scrittrice, di giorno lavora in un’agenzia pubblicitaria e la sera vaga per le strade della città, sola ma libera, lasciandosi deliziare da ogni particolare. Nemmeno la sofferenza al pensiero del figlio lontano riesce a oscurare l’euforia della novità e la consapevolezza di chi sta facendo la cosa giusta per sé. Hervey è una donna in un mondo di uomini: il capo David Renn, veterano solitario e disilluso; i due amici storici, ex soldati che hanno in mente di dare vita a un nuovo giornale; e poi scrittori presuntuosi, intellettuali salottieri e spregiudicati uomini d’affari. Anche il marito, ogni tanto, torna a fare capolino, mentre l’amante vuole portarla con sé in America.

Un meraviglioso affresco dell’ambiente culturale del tempo, con tutto il brio e l’effervescenza del mondo editoriale e pubblicitario londinese, si amalgama a un lucido spaccato della vita quotidiana dell’epoca, segnata dallo spaesamento e dalla frustrazione dei reduci e dei giovani lavoratori. In primo piano, però, ci sono la storia di una giovane protagonista coraggiosa e l’evoluzione delle conquiste femminili che hanno cambiato per sempre la vita delle donne.

Per la prima volta nelle librerie italiane, Company Parade è il capitolo iniziale della trilogia Lo specchio nel buio, opera avvincente e raffinata considerata un manifesto dell’emancipazione femminile.


RECENSIONE

La felicità viene dalla capacità di sentire profondamente, di gioire semplicemente, di pensare liberamente, di rischiare la vita, se necessario. (Margaret Storm Jameson)

Prima che Fazi Editore pubblicasse questo romanzo, non conoscevo la figura di Margaret Storm Jameson. Illuminante! Classe 1891, giornalista e scrittrice inglese, per i suoi traguardi e per la personalità forte, decisa, controcorrente, si può considerare a tutti gli effetti una icona nella storia dell‘emancipazione della donna, del femminismo e delle conquiste che, oggi, potrebbero risultare scontate, ma che negli anni in cui lei ha vissuto non solo non lo erano affatto, ma rasentavano quasi una utopia. Basta apprendere solo alcuni elementi biografici per comprenderne la rilevanza: è stata la prima donna a laurearsi in inglese all’Università di Leeds, la prima a ricevere una borsa di studio per una tesi post laurea, la prima a presiedere l’English PEN, contribuendo a costituirlo. Margaret Storm Jameson: attivista, letterata, antinazista, suffragetta. Una donna che riuscì ad essere chi voleva essere, se stessa, in un’epoca notoriamente maschilista e in cui, per una donna, poter scegliere era a dire poco inimmaginabile, figurarsi scrivere.

Nel 1919 lavorò per un anno a Londra come copywriter per una grande agenzia pubblicitaria, questo dato mi ha fatto pensare a quanto di biografico deve aver riversato in Company Parade. Qualche anno più tardi rappresentò l’editore americano Alfred A. Knoft in Inghilterra. Nel 1952 firmò l’introduzione all’edizione inglese del Diario di Anna Frank. E’ stata una autrice molto prolifica di romanzi, racconti, saggi e anche di una autobiografia in due volumi (la sua).

Le sue prime opere le firmò con uno pseudonimo maschile, il che mi ha riportato alla mente le sorelle Bronte (inizialmente pubblicarono i loro romanzi con nomi fittizi maschili), poi decise di imporre il suo coraggio e la sua determinazione utilizzando il suo nome da nubile, di fatto discostandosi dalla consuetudine che vedeva le donne “perdere” il proprio nome a favore dell’acquisizione di quello del marito.

Con queste premesse mi sono approcciata alla lettura di Company Parade, avvicinandomi a conoscere prima la donna, la letterata e il suo tempo, per poi affrontare una esperienza consapevole della sua opera. E mi è stato davvero utile. Utile, perché mi ha permesso di cogliere parecchie sottigliezze, apprezzare le contraddizioni della protagonista, comprendere, anche solo empaticamente, le sue scelte e il suo non essere sempre decisa o coerente.

Ora, parliamo del romanzo.

Una giovane donna arriva a Londra nel mese immediatamente successivo all’armistizio. E’ inesperta, povera, ambiziosa e sfiduciata. Quella che segue è la sua storia.

Come avete scorto poco sopra, siamo a Londra.
Il paese è reduce da una guerra, la Grande Guerra, la Prima Guerra Mondiale, nel 1918.
Hervey Russell, ventiquattro anni, prende la decisione di lasciare lo Yorkshire per trasferirsi a Londra, di fatto decretando un primo grande atto di coraggio, perché andandosene, lascia suo figlio Richard, di tre anni, alle cure di una tata e di sua madre, per cercare di realizzare il suo sogno, diventare una scrittrice, per affermarsi e offrire un futuro migliore, con più possibilità, al suo bimbo, soprattutto. E’ sposata con Penn Vane, che vive lontano da lei e da suo figlio, un ufficiale di terra dell’Air Force, che la guerra non l’ha mai combattuta e che si crogiola sugli allori, senza nessuna intenzione di trovarsi un lavoro, assumersi le proprie responsabilità per contribuire a dare stabilità alla sua famiglia.
Nonostante le difficoltà, le ristrettezze, lo spaesamento, Hervey e il suo baule armadio trovano una sistemazione e anche un impiego presso una agenzia pubblicitaria come assistente di un redattore capo, David Renn, ferito in guerra nel 1917 e quindi congedato dall’esercito. Un lavoro che non stimola di certo la creatività e che consiste nell’indurre, anche e soprattutto con la menzogna, papabili clienti ad acquistare determinati prodotti.
Nella storia ruoteranno diversi personaggi, prevalentemente di sesso maschile, perché Hervey è una donna in un mondo di uomini. Spesso, ci risulterà difficile seguire la relazione degli uni con gli altri, ma in generale reputo ogni figura essenziale ai fini della realtà che l’autrice intendeva rappresentare, ossia quella dell’ambiente culturale londinese, ma anche del lavoro in senso più largo, con un particolare focus sul mondo editoriale, dei salotti frequentati da intellettuali altezzosi e scrittori presuntuosi, una società nelle mani, spesso, di imprenditori e uomini d’affari senza scrupoli, reduci di guerra segnati dal dramma di un conflitto che li ha invecchiati, come nel caso di due amici di Hervey, Philip e TS,

Aveva appena ventiquattro anni, ma sembrava un trentenne consumato dalla vita, come gran parte dei coetanei che erano riusciti a sopravvivere ai quattro anni della guerra.

Ci sono tradimenti, dolori, ipocrisie, amicizie, amanti, formazione, in questo romanzo. Non solo belletti e foschia, ma anche ricerca di una propria identità.

Company Parade, secondo me, non si lascia apprezzare da tutti, non lo permette il ritmo di narrazione che poco si presta alla scorrevolezza a volte. Eppure, il contenuto, a mio avviso è davvero rilevante, così come la caratterizzazione dei personaggi che, è vero, potrebbe risultare scarna e a tratti confusa, ma se non si resta sulla superficie e si prova ad avvicinarsi ad essi in profondità, si scopre quanta forza da loro si propaghi. Questa è una storia che impone molta riflessione e analisi.

A partire dalla protagonista, Hervey, dipinta non come la classica eroina femminista che ci si aspetterebbe di conoscere, bensì come una giovane donna determinata, sì, ma anche fragile, preda di forti insicurezze, timorosa di non essere all’altezza, di aver osato troppo, di essersi spinta verso un tracollo, vittima della paura del fallimento,  spesso contraddittoria. Ciò che non si deve perdere di vista neanche per un attimo è che stiamo parlando di una donna che nel 1918 compie un atto di sacrificio (lasciando suo figlio) e questo perché, se il gentil sesso vuole mettersi in gioco e realizzarsi professionalmente, deve, e sottolineo deve, compiere necessariamente una rinuncia (cosa che agli uomini non toccava fare). Ad una donna non si aprivano molte strade se non quelle che da sole decidevano di tentare di percorrere, a scapito degli affetti familiari e, perché non dirlo, della comune opinione, propensa a giudicare senza remore. Per Hervey, questa scelta, sarà un costante conflitto interiore. E davvero non la biasimiamo? Davvero non riusciamo a comprendere la sua natura? Il fatto che non sia perfetta, a me, l’ha resa più reale. E veramente si fatica a non intravedere determinazione in lei? Io l’ho vista eccome. Sia quando dà una svolta alla sua vita andando a Londra, sia quando non si piega davanti all’insuccesso del primo romanzo, si rimbocca le maniche e ne scrive un altro. Questo romanzo amplifica una fatica: la fatica di voler diventare una scrittrice. Non sempre tutto va come vorremmo, certo, ed è comprensibile che lo sconforto possa impossessarsi di Hervey, ma Margaret Storm Jameson lancia un messaggio di speranza, di forza, di rinascita, di possibilità di cambiamento se si ha pazienza e occhi sufficientemente arguti, e lo fa con una prosa molto poetica:

Al mattino, non appena aprì gli occhi, sentì qualcosa di diverso nell’aria. La stanza era inondata dalla luce del sole che, come un fiume luminoso, scorreva dappertutto, dal pavimento al soffitto. Scese dal letto e si immerse nella luce, poi andò verso la finestra. Lì, nel cortile dietro casa, un miracolo. Il giorno prima il cespuglio di lillà era annerito, apparentemente morto, pochissimi i rametti di bocci duri tra le foglie accartocciate. Adesso era sveglio, pieno di vita. Il verde brillante delle foglie e i fiori color lavanda spuntavano sotto la luce forte. Oltre il muro, una schiera di pioppi aveva messo le foglie. Ieri, niente; e oggi, fiore e foglia insieme in una profusione luminosa.

Un altro aspetto di cui voglio discorrere riguarda l‘atmosfera del romanzo, resa con minuziosa sensibilità. Il clima di incertezza  e smarrimento che si trascina e di cui il Paese è pervaso dopo la Grande Guerra, riusciamo a sentirlo, oltre che vederlo, attraverso gli occhi e gli altri sensi dei personaggi. Lo sentiamo addosso, ci opprime, talvolta. Un esempio è fornito da questo passaggio:

Seduto al tavolo vicino c’era un soldato nell’uniforme kaki con le bandoliere di cuoio. Sorseggiava caffè, gli occhi che spuntavano da dietro il bordo della tazza trasmettevano incertezza. Sembrava non sapere cosa fare, proprio come lei. In fondo ai suoi occhi c’erano strade che portavano alle trincee, i rumori e le immagini di quella vita che l’uomo non sapeva come conciliare con il futuro che lo attendeva. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, l’uniforme lisa gli conferiva un aspetto tra l’innocente e l’impacciato. Era giovane, proprio come Hervey.


Concludendo, a me il romanzo è piaciuto.
Ho avuto qualche difficoltà in alcuni momenti della lettura, non lo nego, perché ci sono stati punti che mi sono risultati slegati tra loro, ma non sono pronta a dare un parere definitivo senza aver continuato la serie, perché la voglia di continuare la trilogia ce l’ho, anzi, può anche darsi che proprio proseguendo con la lettura queste perplessità si chiariscano. Spero di essere riuscita ad esporre gli elementi positivi che mi hanno indotta ad apprezzare il romanzo (intenzione, ambientazione, clima post bellico, credibilità della protagonista per il suo essere imperfetta, stile, descrizioni) in maniera esaustiva, auspico la pubblicazione del secondo capitolo da parte di Fazi Editore al più presto!


ALLA PROSSIMA RECENSIONE