RECENSIONE: “Eredità”, di Vigdis Hjorth (Fazi Editore)

Autrice: Vigdis Hjorth; Titolo: Eredità; Casa editrice: Fazi Editore; Collana: Le strade; Traduzione: Margherita Podestà Heir; Pagine: 373; €18,50; Codice isbn: 9788893254595; Data di pubblicazione: 21/05/2020.


TRAMA
Quattro fratelli. Due case a picco sul Mare del Nord. Un dramma familiare sepolto nel silenzio da decenni. Tutto comincia con un testamento. Al momento di spartire l’eredità fra i quattro figli, una coppia di anziani decide di lasciare le due case al mare alle due figlie minori, mentre Bård e Bergljot, il fratello e la sorella maggiori, vengono tagliati fuori. Se Bård vive questo gesto come un’ultima ingiustizia, Bergljot aveva già messo una croce sull’idea di una possibile eredità, avendo troncato i rapporti con la famiglia ventitré anni prima. Cosa spinge una donna a una scelta così crudele? Bård e Bergljot non hanno avuto la stessa infanzia delle loro sorelle. Bård e Bergljot condividono il più doloroso dei segreti. Il confronto attorno alla divisione dell’eredità sarà l’occasione per rompere il silenzio, per raccontare la storia che i familiari per anni hanno rifiutato di sentire. Per dividere con loro l’eredità – o il fardello – che hanno ricevuto dalla famiglia. Per dire l’indicibile. Premiato dai librai norvegesi come miglior libro dell’anno, in vetta alle classifiche di vendita per mesi, osannato dalla critica internazionale, Eredità è il romanzo con cui la norvegese Vigdis Hjorth ha raggiunto la fama mondiale. Lirica riflessione sul trauma e sulla memoria, è al tempo stesso il furioso racconto della lotta di una donna per la sopravvivenza.

RECENSIONE

Se si è così fortunati da superare tutto quanto, è fondamentale non dimenticarsi delle competenze acquisite quando si era infelici.

Vigdis Hjorth è una della scrittrici nordiche di successo più conosciute e apprezzate. Ha all’attivo più di trenta libri e ha ricevuto diversi premi. Con Eredità ha conquistato la fama internazionale e due dei più importanti riconoscimenti letterari norvegesi, il Norwegian Booksellers’ Prize e il Norwegian Crities Prize for Literature.

Il romanzo ha suscitato tanto clamore in Norvegia, nel 2016, dovuto anche alla convinzione che l’autrice abbia vissuto in prima persona i fatti narrati. Lei ha negato, ma ciò non è bastato, a quanto pare, perché la sua famiglia, con la quale non ha rapporti da tanti anni, si è pesantemente risentita. La madre, infatti, pare le abbia fatto causa, mentre sua sorella ha pubblicato a sua volta un romanzo per rispondere alla violenta accusa contenuta in Eredità. Per Vigdis, la verità è una esperienza concessa solo al lettore.


Avevo imparato che non era permesso dire la verità, che si veniva puniti se si diceva.

Questa è la storia di un perdono impossibile. Di una liberazione impossibile, perché non ci si può disfare di un trauma. Questa è la storia di un dramma, di una negazione codarda e opportunista, di crudele indifferenza. La storia di un silenzio che si spezza dopo anni di rimozione, prostrazione, annientamento, di lotta per la sopravvivenza attraverso la convivenza con il trauma subito. Questa è la storia di una donna che ritrova la sua voce, gradualmente, dopo essere caduta più volte e aver visto infrangere tutte le speranze di essere ascoltata. Ripetutamente. La storia di un dramma del passato consumato in famiglia. Questa è la storia di Bergljot, nel presente, cinquantenne e critica teatrale.

Sembrerebbe iniziare tutto da una ingiusta ripartizione dell’eredità da parte dei genitori a favore delle due sorelle minori di Bergljot, Asa e Astrid, a danno suo e di suo fratello Bard. La coppia, ormai anziana, pur avendo messo nero su bianco che ogni bene sarebbe stato diviso equamente tra i quattro figli, decidono di intestare, di nascosto, le due case di loro proprietà che si trovano a Hvaler (due case che si affacciano sul Mare del Nord) alle figlie più giovani, facendole valutare ad una cifra irrisoria, in modo che ai figli maggiori sarebbe poi spettata una cifra compensativa bassa. Per Bard è l’ennesimo colpo inferto dai suoi genitori. Bergljot, invece, non è sorpresa, avendo chiuso ogni rapporto con la sua famiglia da ventitré anni.

Tutti e due c’eravamo esclusi dalla nostra famiglia, ma non insieme, non come azione condivisa, ma separatamente, e ognuno per conto proprio.

In realtà, la questione dell’eredità non è che l’atto finale di uno scontro aperto anni prima, l’occasione per rimettere davanti alle proprie responsabilità ogni componente della famiglia, in misura diversa coinvolti e colpevoli, prima di tutto nel rifiuto di dare ascolto alla verità di Bergljot, una verità che dapprima lei stessa aveva rimosso, tanto era pesante ed indicibile, che le è costata fatica, sofferenza, ripetute crisi, insonnia, incubi, analisi. Tagliare i ponti con la famiglia non solo era auspicabile, ma possibile.

Non essere più obbligata a rapportarmi con loro, non dover più piangere, subire rimproveri e minacce, non essere più costretta ad accampare scuse, a dover sempre difendere e fornire spiegazioni senza essere comunque capita: tagliare i ponti, era possibile.

Bergljot decide di non nascondersi dietro l’ombra di suo fratello, ma di stare al suo fianco. Consapevole di scontrarsi con un muro di gomma, vuole lo stesso provare ad andare fino in fondo, anche se sa che è troppo tardi, in ogni caso. La sua storia è scomoda. La sua storia è una minaccia, un problema che è più facile far passare per immaginazione o follia che accettare o, finalmente, ascoltare.

Qual è la storia di Bergljot? Qual è la verità sconvolgente che la famiglia non vuole ascoltare? Cosa è successo nel passato?

Per una volta dovevo poter dire quello che dovevo dire con tutte le parole messe insieme, le mie, per la mia pace mentale, in nome del mio onore, per il rispetto di me stessa, per staccare da quei ganci a cui era stata relegata quella cosa vaga e indistinta ed esporla una volta per tutte, per chiudere per sempre le voci che circolavano, quell’annuire tacito di intesa, gli sguardi tra di loro, per fermare quel gioco di sussurri perché, se non l’avessi fatto, almeno per una volta, e doveva essere adesso, sembrava che io mi fossi lasciata comprare dalla promessa dell’eredità.


Eredità è un romanzo sicuramente impegnativo emotivamente, doloroso, ma incredibilmente potente. Non solo perché va a sottolineare l’importanza della parola, ma anche perché mostra cosa voglia dire essere una vittima e non venire creduti né ascoltati.

È un romanzo denso, le pagine scottano, ci parla guardandoci negli occhi, e lo fa mediante la voce della protagonista, Bergljot, che pagina dopo pagina ricostruisce la sua vita, il matrimonio, i figli, il lavoro, le amicizie, le crisi, la presa di coscienza, la richiesta di aiuto, la decisione di allontanarsi dalla sua famiglia, fino ad arrivare all’evento cardine, tra una forte introspezione e ricordi duramente acciuffati e condivisi con il lettore. Non ci stupiremo delle parole cariche di giudizio ed ostilità nei confronti dei genitori e delle sorelle, la comprenderemo quando metterà ripetutamente in discussione se stessa, restando sempre dalla sua parte.

Il libro è un flusso di coscienza quasi inarrestabile che riproduce fedelmente tutto ciò che Bergljot ha dentro di sé, così come lo sente, come lo matura ed amplia, attraverso il recupero progressivo di dettagli, ricordi, scavando sempre più in profondità, ed ecco motivata l’apparente ripetizione in molti passaggi del testo, una formula geniale per dare maggiore credibilità e realismo a ciò che il lettore ha davanti. Infatti, il suo coinvolgimento nella storia è totale, mi sono ritrovata a leggere il libro in pochissimo tempo, senza nemmeno renderne conto. Le pagine scorrevano ed io avevo una sola necessità: permettere a Bergljot di urlare il suo racconto, il suo dolore, la sua testimonianza. E di sostenerla nella sua battaglia.


Non ero in grado di perdonare. Ma di gettare tutto nell’oceano dell’oblio? Sollevarlo alla luce, studiarlo, riconoscerlo, accettarlo e gettarlo nell’oceano dell’oblio? Non ero in grado di fare neppure quello. Perché non si trattava di episodi singoli, e neppure di un racconto finito, ma di una ricerca caparbia, uno scavo necessario pieno di cortocircuiti e tormenti involontari. E la presenza della mia infanzia perduta, l’eterno ritorno di quella perdita, era ciò che mi rendeva nitida e distinta a me stessa, una parte della mia esistenza che permeava persino il sentimenti e la sensazione più piccoli che albergavano dentro di me.