RECENSIONE: “Estremi rimedi”, di Thomas Hardy (Fazi Editore)

La recensione di oggi riguarda un romanzo che mi è piaciuto tanto, tanto, tanto, non un romanzo qualsiasi, bensì un esordio, l’opera prima con cui il mio amatissimo Thomas Hardy si è presentato al pubblico e alla critica, intitolato Estremi rimedi, pubblicato lo scorso 26 settembre da Fazi Editore, che ringrazio per la copia omaggio.

Titolo: Estremi rimedi; Autore: Thomas Hardy; Casa editrice: Fazi Editore; Collana: Le strade; Prezzo: €18,00; Pagine: 542; Codice isbn: 9788893256353; Traduzione: Chiara Vatteroni.


TRAMA

Estremi rimedi è il romanzo d’esordio di Thomas Hardy, in cui già si dispiegano tutti gli elementi che faranno la fortuna del suo autore: l’ispirazione gotica, un intreccio impeccabile, la magistrale caratterizzazione dei personaggi. Protagonista di questa storia è la giovane Cytherea Graye: rimasta orfana, la ragazza decide di trasferirsi con il fratello Owen in un’altra città, per trovare una casa e un lavoro e ripartire da zero. Qui, i due conoscono Edward Springrove, un collega di Owen, di cui Cytherea si innamora. Dopo vari tentativi andati a vuoto, la ricerca di un lavoro va a buon fine, e la protagonista viene assunta come dama di compagnia presso una ricca signora, Miss Adclyffe, il cui passato, si scoprirà poi, è legato romanticamente a quello della famiglia Graye. Tra le due donne si stabilisce un rapporto a metà strada fra l’affetto, la protezione, la devozione e la gratitudine reciproca. Proprio durante il soggiorno in casa della signora, Cytherea viene a sapere che non lontano da lì vive la famiglia del suo amato Edward, che però è già promesso a un’altra donna. Delusa e sconcertata, la protagonista decide di dimenticarlo: è a questo punto che entra in scena Manston, personaggio misterioso inspiegabilmente protetto e spalleggiato da Miss Adclyffe, il quale intraprende nei confronti della ragazza un lungo e bizzarro corteggiamento.
L’intreccio narrativo, finora concentrato sul ritratto dei personaggi, si fa da qui in poi vivace e ricco di colpi di scena: incendi, fughe nella notte, inganni, suspense, persino un omicidio, fino alla conclusione, degna della migliore tradizione dei “sensation novels”, cui Hardy si ispirò per costruire questo suo primo romanzo, affermandosi subito come una delle voci più brillanti della narrativa inglese.


RECENSIONE

Non amare troppo ciecamente; amerai ciecamente, se amerai, ma a un cuore ben disciplinato resta ancora un po’ di riflessione. Che questo cuore sia il tuo, poiché non è stato il mio.

Tutto quello che c’è da sapere della trama è stato magnificamente introdotto dalla casa editrice attraverso la sinossi che ho prontamente riportato poco sopra. Non posso aggiungere molto altro perché, credo, sia essenziale scoprire l’incanto della narrazione attraverso la lettura diretta dell’opera, ogni dettaglio potrebbe comprometterne la meraviglia, lo stupore, anche il cipiglio, perché no. Ma non temete, punterò ugualmente la lente di ingrandimento sulla trama per fornirvi un quadro ampio di valutazione e per cercare, il più possibile, di trasmettervi la bellezza del romanzo.


Ora, per chi mi segue da tempo, non occorre sapere che questo poeta e romanziere inglese rientra tra i miei preferiti in assoluto, ma per chi sta leggendo per la prima volta ciò che scrivo deve esserne edotto. Dico ciò perché, pur sforzandomi di restare quanto più possibile obiettiva, confesso che faticherò a non elogiare lo scrittore in maniera spudorata. Ma ho tanti punti di ragione per farlo, credetemi.


Nel 1871, Thomas Hardy ha 31 anni e scrive il suo romanzo di esordio dal titolo Estremi rimedi.  Pur essendo acerbo rispetto ai suoi romanzi più maturi (e non perché sia un cattivo romanzo, al contrario), questa opera prima si attesta come un brillante esperimento espressivo, narrativo, linguistico, strutturale, un romanzo che mette in risalto un talento portentoso ed il forte legame dello scrittore con la cultura classica.

La storia ci viene raccontata da un narratore onnisciente, certosino conoscitore dell’animo dei personaggi di cui ci sta parlando e anche del mondo in cui questi sono inseriti, prevalentemente in un ambiente rurale, ma non solo. Tutti gli eventi verificatisi accidentalmente, ci avvisa, compongono l’intera storia, scandita in anni, mesi, giorni, ore. Ogni istante assume la sua importanza.

E’ il 1835 a Hocbridge quando un giovane architetto di nome Ambrose Graye si innamora perdutamente della figlia di un ufficiale di Marina in pensione, Cytherea che, pur ricambiando il sentimento, gli dice addio senza fornire nessuna spiegazione, spezzandogli il cuore. Il tempo trascorre, Ambrose cambia, da schietto e affabile diventa intrattabile, tuttavia, otto anni dopo, incontra una giovane donna in possesso di doti denaro e si sposa. Non la amerà come avrebbe dovuto, perché il suo cuore non guarirà mai dalla ferita inferta dal suo primo e indimenticabile amore. Da questa unione nascono due figli, Owen e Cytherea (si, ha dato lo stesso nome della sua amata alla figlia). Quando i due hanno rispettivamente 17 e 16 anni, Ambrose resta vedovo e così Owen viene tolto da scuola ed iniziato al mestiere di architetto. Due anni dopo, a causa di un incidente, anche Ambrose perde la vita ed i due giovani Graye restano da soli, senza lavoro, senza denaro, con debiti da saldare e un futuro davvero molto incerto (e già qui, gli eventi ci suggeriscono una visione dickensiana del sociale). L’unica strada possibile è allontanarsi dal posto in cui vivono, dai pettegolezzi, dallo sguardo indiscreto dei conoscenti e cercare lavoro altrove. Si trasferiscono a Creston dove Owen trova un lavoro e Cytherea è determinata a trovare un impiego, pur con la consapevolezza di non avere le stesse opportunità del fratello, in quanto donna (rilevante sottigliezza sulla disparità di genere dell’epoca). A Creston, Owen stringe amicizia con un collega di lavoro, Edward Springrove, personaggio che molto sembra possedere di Hardy stesso; oltre ad essere impiegato capo, scrive poesie, è di umili origini essendo figlio di un agricoltore, ma possiede le capacità e le motivazioni necessarie per cercare di elevare la sua posizione, difatti di lì a poco lascerà il posto di lavoro a Creston per cercare fortuna a Londra.
Cytherea ed Edward si conoscono dapprima indirettamente, attraverso le parole di Owen ed entrambi sono visibilmente colpiti l’uno dall’altra pur non essendosi ancora conosciuti né visti. Alla notizia della partenza del giovane, Cytherea è turbata, il lettore ne intuisce, malizioso, il motivo, ma l’ingenua fanciulla ne è confusa,

Un’indescrivibile sensazione di tristezza attraversò il cuore di Cytherea. Perché doveva essere triste per un annuncio del genere, pensò, riguardo a un uomo che non aveva mai visto, quando il suo umore era così duttile da ristabilizzarsi come se non avesse subito i duri colpi inferti da problemi gravi e reali? Anche se non era in grado di rispondere alla domanda, sapeva però una cosa: era rattristata dalla notizia di Owen.

Un amore allo stadio iniziale che altrimenti non sarebbe mai esistito, aggiunge il nostro narratore. Seguono pagine che mi hanno emozionata molto, nella forma e nel contenuto. Perché quell’incontro tra i due è destinato a verificarsi a breve, frutto di un altro accidentale evento, e tutto quello che c’è da dedurre è offerto dai loro occhi,

La guardò in viso, poi la fissò con fermezza, benché solo per un momento, negli occhi che, a loro volta e nello stesso instante, lo stavano fissando. Una volta incontratisi, gli sguardi restarono fissi l’uno nell’altro e il singolo istante concesso dalla buona educazione per un’occhiata di questo genere si triplicò: era scoccato un un raggio di serena e reciproca intesa e aveva suscitato una di quelle inesprimibili sensazioni che portano nel cuore, prima che la mano sia stata sfiorata o che sia stato scambiato il minimo complimento, la convinzione più forte di una prova matematica che: <<Un legame ha iniziato a unirci>>. I due visi affermavano inconsapevolmente che, negli ultimi tempi, i reciproci proprietari avevano occupato l’uno il pensiero dell’altra.

I due scoprono di amarsi, di appartenersi, ma lui deve partire per Londra; si separano con la promessa di scriversi. Nel frattempo, dopo alcuni tentativi andati male, la ragazza trova finalmente un lavoro presso una residenza di campagna a soli quindici miglia di distanza, a Knapwater House, come dama di compagnia di miss Aldclyffe, un personaggio un po’ controverso, dal passato misterioso, tutto da riportare a galla, stranamente interessata a Cytherea, spesso di un legame risultante morboso, direi.  Una volta arrivata alla casa padronale e iniziato il suo lavoro, il ritmo della narrazione e degli eventi cambia, gradatamente, registro. Uno dietro l’altro, fanno capolino delusioni, segreti, accadimenti sospettosi. E’ qui che, per caso, Cytherea scopre che il suo Edward, nativo di quel posto, in realtà è già promesso sposo di un’altra donna. Si può immaginare lo sconcerto e la conseguente decisione della ragazza di dimenticarlo. A questo punto entra in scena Manston, un giovane di bell’aspetto fortemente ben voluto da miss Aldclyffe, assunto dalla donna come sovrintendente con il pretesto di apportare lavori di restaurazione in alcune parti della proprietà. Ci è da subito chiaro che la donna voglia avere questo giovane vicino, ma non riusciamo a comprenderne le reali intenzioni, così come non comprendiamo come possa godere di tanto favore e protezione. Cosa ha in mente miss Aldclyffe? Il sovrintendente si innamora si Cytherea, ma qualcosa sembra trattenerlo, da principio. Cosa?

Era evidente che Manston stava facendo sforzi enormi per domare, o almeno nascondere, questo suo debole e a volte sembrava che lo facesse più per la sua stessa coscienza che por gli sguardi di chi li circondava. Da ciò la ragazza scoprì che tutti i loro incontri erano il semplice risultato del caso. (…) C’era qualcosa che lo frenava, che tratteneva il suo impulso, ma non si trattava né di orgoglio, né del timore di essere rifiutato.

Tuttavia, ancora una volta, gli eventi subiscono un cambiamento, ed ecco che Manston inizierà a corteggiare la nostra protagonista, in maniera sempre più pressante, sempre più insistente e, ancora una volta, con Miss Aldclyffe a spalleggiarlo.


L’esposizione della trama deve necessariamente arrestarsi in questo momento, perché è proprio da questo punto che una serie di accadimenti inizierà a concatenarsi, andando ad infittire la narrazione con un intreccio carico di colpi di scena, passando da un romanzo di stampo vittoriano, concentrato sul realismo, sulla narrazione onnisciente non priva di digressioni e note morali, al sensation novel, in cui più generi confluiscono e rendono il romanzo carico di suspense, mistero, intrighi, dalle atmosfere gotiche.

Ogni dettaglio che Thomas Hardy ha seminato per tutto il romanzo divengono, ora, indizi con i quali il lettore costruisce le proprie congetture circa il destino dei personaggi, sulla evoluzione della loro condizione, e spesso ci domandiamo: e adesso? Come riuscirà Hardy a sbrogliare questa matassa? Perché la matassa si ingarbuglierà sempre di più, passando per incendi, fughe, inseguimenti, un omicidio, complotti, menzogne, amori tormentati, segreti inconfessabili, false identità, rivelazioni inattese. 


Se in un primo momento, gli eventi sembrano seguire un ritmo cadenzato, concentrato sui personaggi, sulle loro vicissitudini, per fornire al lettore un quadro molto approfondito circa carattere, psicologia e ruolo di ognuno di loro nella storia, la seconda parte si rivela, indubbiamente, incalzante, dove l’azione è protagonista, insieme allo scenario gotico, alle atmosfere cupe, oscure, sinistre quasi, che devono, necessariamente, portarci ad un finale…


Se ne consiglio la lettura? Non credo ci sia necessità di chiederlo! Ovviamente.

Come dicevo poco sopra, in Estremi rimedi si avverte una penna più acerba, inevitabilmente meno matura rispetto alla penna di Tess dei D’Urberville, ad esempio, ma è un validissimo romanzo di esordio, una validissima lettura. A me è piaciuto moltissimo, specialmente nella seconda parte, dove fremevo per scoprire dove mi avrebbe condotta lo scrittore e la storia. Cosa mi ha coinvolta? Sicuramente la prosa, inconfondibilmente raffinata, con molteplici rimandi letterari (tra cui Shakespeare, Percy Shelley, Browning, Tennyson, Milton, solo per citarne qualcuno), la caratterizzazione dei personaggi, la trama incalzante, in crescendo tra tensione e attesa, le descrizioni poetiche e suggestive, l’attenzione ai particolari.

Thomas Hardy: una conferma ed una sorpresa insieme.


“Springrove aveva da tempo superato lo speciale confine che divide l’innamoramento – sempre che non lo si possa chiamare l’inizio stesso della passione totale – dal fortissimo desiderio di prendersi teneramente cura; quando, nella mente dell’uomo, la donna si sposta dal territorio della semplice ammirazione a quello dell’affettuosa amicizia. A questa ipotesi sulla sua natura, per lui la donna cambia voce, sfumatura ed espressione. Per tutto quello che riguarda l’amata e per cui prima usava dire «lei», adesso usa il «noi». Occhi che dovevano essere sottomessi diventano occhi da temere; una mente che si doveva sondare con cinismo diventa una mente da aiutare teneramente; i piedi che dovevano essere messi alla prova nella danza diventano piedi che non si devono affaticare; l’accento, i modi, il vestiario un tempo criticati diventano i beniamini di un patrocinatore molto parziale.”


ALLA PROSSIMA RECENSIONE