RECENSIONE: “Eugenia”, di Lionel Duroy (Fazi Editore)

Lettori e lettrici de La Parola ai Libri,

l’articolo di oggi è dedicato al romanzo di Lionel Duroy, intitolato “Eugenia”,
edito da Fazi Editore, che ringrazio per la copia.
Un romanzo crudo, doloroso, necessario.
Necessario, sempre,
non soltanto in prossimità della ricorrenza del Giorno della Memoria del 27 gennaio.


Autore: Lionel Duroy; Titolo: Eugenia; Casa editrice: Fazi Editore; Collana: Le strade; Pagine: 461; Codice isbn:9788893255042; Prezzo €19,00; Data pubblicazione: 23 gennaio 2020.

TRAMA

Eugenia è cresciuta a Iaşi, centro culturale cosmopolita e raffinato, dove però, così come nel resto della Romania degli anni Trenta, gli ebrei iniziano a essere malvisti. Lo stesso accade nella famiglia di questa giovane studentessa di Lettere: sia i genitori che il fratello maggiore di Eugenia si lasciano contagiare dai pregiudizi razziali. Quando lo scrittore ebreo Mihail Sebastian, invitato per una conferenza all’università, viene violentemente aggredito da alcuni militanti di estrema destra, soltanto la ragazza si schiera in sua difesa; colpita da un’improvvisa presa di coscienza, che le apre gli occhi di fronte al pericoloso espandersi dell’odio razziale, si trasferisce a Bucarest, dove ritrova Mihail e finisce per innamorarsene. Mentre il malinconico scrittore, impegnato a confrontarsi con il suo ruolo di intellettuale nel contesto dell’antisemitismo crescente, è esposto a rischi sempre maggiori, Eugenia è determinata a opporsi alla barbarie e a difendere i suoi ideali di libertà: cercando di sopravvivere in un paese sconvolto dalla guerra arriverà a comprendere che l’unico modo per combattere il male è ricercarne l’origine.
Sullo sfondo di una nazione contraddittoria e affascinante, questo romanzo vede intrecciarsi magistralmente la grande storia del secondo conflitto mondiale e le vicende intime dei suoi personaggi. Traendo ispirazione dalle voci degli intellettuali che animarono la scena culturale dell’epoca, in particolare quella del brillante scrittore romeno Mihail Sebastian, Lionel Duroy firma un libro appassionante e profondo: accuratissimo nella ricostruzione storica, al tempo stesso Eugenia invita il lettore a porsi gli stessi interrogativi che qui animano la riflessione sull’origine del male portata avanti dalla protagonista, riflessione oggi più che mai necessaria.


RECENSIONE

Mi aggrappo al dolore perché non posso sopportare l’idea di dimenticare questi anni per me così indissolubilmente legati a Mihail. Dimenticare la nostra disumanità, con la scusa che la Storia si è improvvisamente rovesciata e che di sicuro non succederà più. Non succederà più che uccideremo gli ebrei solo perché sono ebrei, gli zingari solo perché sono zingari, e così via. Vorrei tanto crederci, ma sono cose davvero successe, e sotto ai nostri occhi.

Non è possibile fuggire da ciò che è accaduto.
Non è possibile fingere che abominevoli atrocità non abbiano insanguinato strade e coscienze, scosso l’animo più protervo.
Non è possibile relegare al passato, all’oblio la brutale ferocia di cui l’uomo è stato capace, di cui si è reso colpevole a danno di altri uomini.
Non è possibile restare indifferenti, impassibili, ignoranti.
Non è possibile perché non ripercorrere un cammino di conoscenza, di memoria e testimonianza, ci renderebbe molto simili a quegli assassini spietati e senza scrupoli.
Non è possibile perché tutto ciò che è stato potrebbe accadere di nuovo.

Tutte le vie offrivano uno spettacolo mai visto prima. Qui e là sulla soglia delle case o dei palazzi altre vittime giacevano di traverso sui marciapiedi. Giovani e vecchi, donne, a volte famiglie di intere: il padre, la madre e i loro due bambini. Da tutti i corpi sgorgavano gli stessi rivoli di sangue. E non c’era nessuno che portasse soccorso a quelli che, forse, respiravano ancora. Dovevano essere più o meno le otto e la città sembrava disabitata. Dov’erano gli abitanti di Iași? C’erano solo morti. Cos’era successo durante la notte? Stavo forse correndo dentro un incubo? Stavo impazzendo?

Mi sono avvicinata alla lettura di Eugenia con una partecipazione molto forte (dalla trama ne potete intuire le ragioni) e il romanzo mi ha colpita con tutta la violenza della sua verità. Non mi sbagliavo quando, ancor prima di iniziare a leggerlo, presagivo quanto sarebbe stato impegnativo emotivamente. Il coinvolgimento è stato totale. Lionel Duroy ha scritto un libro che brilla di autenticità, struggente, doloroso, commovente, raggelante, dilaniante, rivelatore. Avete presente quei libri in grado di scuotervi e attraversarvi da parte a parte come un fendente? Mille e più lame affilatissime hanno trafitto la mia anima mentre la drammaticità degli eventi mi si presentava davanti agli occhi e un senso di frustrante impotenza mi gelava il sangue nelle vene.

Attraverso una accurata e documentata ricostruzione storica degli accadimenti e del ruolo di molte personalità esistite in quel dato periodo, carnefici e vittime, Duroy non solo ci racconta gli anni della Seconda guerra mondiale in Romania, ma ci porta a sentire, a sentire davvero, l’urlo silenzioso, mortificato, incredulo, indifeso, composto del dolore di uomini, donne, anziani, bambini, privati del loro diritto di esistere, “colpevoli” di essere ebrei, e ci colpisce allo stomaco e al cuore rammentandoci la più bieca e spietata bestialità di altrettanti esseri umani, trasformati in bestie, disumani e senza scrupoli.

Due sono i piani temporali inseriti nel romanzo, anni ’35 e anni ’45, che si alternano mediante la voce della protagonista, Eugenia, un personaggio che non dimenticheremo mai, dopo aver letto il libro.
La storia inizia con un inaspettato epilogo, ossia la notizia, per Eugenia, della morte di Mihail Sebastian, scrittore e avvocato ebreo, realmente esistito e che ha vissuto in prima persona il dramma di quegli anni bui, riuscendo a sopravvivere e, paradossalmente, morendo subito dopo la liberazione, per un fatale incidente, investito da un camion. Siamo a Bucarest, è il 1945 e la gente si riversa in strada per gioire e festeggiare la vittoria, la fine della guerra, la sconfitta della Germania. La scomparsa di Mihail è motivo di profondo dolore per la giovane donna ed è il dolore a spingerla a scrivere, a ripercorrere gli ultimi anni, gli accadimenti accorsi dal 1935, non soltanto tramite i ricordi o la memoria, ma anche attraverso il diario dello scrittore, ricostruendo, pezzo per pezzo, la sua storia, la storia dei romeni, degli ebrei romeni, della cultura insidiosamente antisemita in cui è cresciuta, le discriminazioni ai danni degli ebrei, delle prime aggressioni, fino alla follia collettiva che annebbiò chiunque, fino al terribile pogrom di Iasi del 28 e 29 giugno del 1941, che portò all’uccisione di quasi 14000 ebrei, per arrivare addirittura alla negazione dell’esistenza del pogrom, alla Resistenza.

Nel 1935 Eugenia è una giovane studentessa di Letteratura all’Università di Iasi, quando la sua professoressa, Irina Costinas, donna molto stimata dalla giovane, ha l’audacia di invitare in Ateneo, Mihail Sebastian per tenere una presentazione del suo recente romanzo, intitolato Da duemila anni, opera nella quale si interroga sulla sofferenza degli ebrei e sulle ragioni dell’animosità che sanno suscitare nell’Altro (pubblicato da Fazi Editore nel 2018). Sono già gli anni in cui una grossa parte della società punta l’indice contro di loro, in cui gruppi di estremisti (e non solo) parlano di “problema ebraico”, in cui le prime aggressioni, verbali e fisiche, iniziano ad essere comuni e abituali. Eugenia stessa, cresciuta con la cultura di considerare gli ebrei come “sanguisughe”, come persone che si sono arricchite a danno dei romeni, sulle spalle dei romeni, rubando il posto che sarebbe spettato loro, non più padroni perché gli ebrei erano ovunque, non fatica ad individuare in simili invettive le ragioni dell’odio. Anche nella sua famiglia ci si esprime in questi termini, ed è proprio suo fratello Stefan a manifestare idee più estremiste e fanatiche.

Durante la conferenza, Mihail viene aggredito con violenza e accerchiato da un gruppo di militanti di destra (mandati proprio da Stefan). La professoressa Costinas interviene tempestivamente e coraggiosamente in suo aiuto, affrontando gli aggressori, seguita da Eugenia. La scena cui ha assistito le fa aprire gli occhi, come se avesse ricevuto una rivelazione, un risveglio di coscienza,

Qualcosa di colpo mi cedette dentro, qualcosa della mia indifferenza per quella gente che a casa chiamavamo i “giudei”. (…) Non saprei descrivere con precisione l’effetto che fa una repentina presa di coscienza, ma è come se d’improvviso tutto in noi si illumi, il cuore e la ragione s’infiammino entrambi contemporaneamente, e una rabbia tutta nuova ci abiti, ci travolga, una rabbia di cui ancora non sappiamo che fare,

Il ravvedimento di Eugenia segna un punto cruciale, una svolta. E’ il faro che, illuminando anche le coscienze di chi sta leggendo, guida ognuno di noi verso la riappropriazione di una sensibilità assopita, mutilata, assuefatta alla propaganda di odio che sperava, con ogni mezzo, di attecchire e che vi è riuscita, trasformando le persone in criminali, nel pensiero, nella cultura, nelle azioni, indifferenti al male arrecato, alla sofferenza di altri esseri umani.
Il rapporto con la sua famiglia inizia inevitabilmente ad incrinarsi, decide di trasferirsi a Bucarest, resta in contatto con Irina Costinas ed incontra nuovamente Mihail. Si innamora di lui, profondamente, e continua ad amarlo e a volerlo proteggere nonostante lui desideri un’altra donna, sfuggente e poco affidabile. Le pagine ci restituiscono il ritratto di un uomo malinconico, costretto a rinunciare a tutto, al suo lavoro come insegnante prima, a pubblicare con il suo nome poi. Ciò che nessuno, però, può sottrargli è la scrittura,

Quando il mondo attorno a lui crollava, lui si chiudeva in casa e scriveva. L’avevano privato di tutti i suoi diritti, ma non avevano potuto sottrargli l’unico che lo teneva in vita: scrivere.

Dal sogno di diventare a sua volta una insegnante al non sapere più cosa ne sarà di lei, della sua vita, Eugenia viene assunta in una agenzia di stampa e diventa una inviata sul posto, per informare cosa accade sotto il regime. Assiste alla crudeltà più efferata che si possa immaginare e comprende che non può limitarsi agli articoli e alla denuncia. Deve lottare per i suoi ideali, deve combattere per salvare ciò che resta, per salvaguardare i valori in cui crede, arrivando anche a comprendere che il solo modo per combattere il male è ricercarne l’origine.

Il personaggio di Eugenia che ha costruito Duroy è incredibilmente sorprendente. Durante la narrazione si evolve, cresce, matura. Scopre di avere coraggio, forza, indipendenza, di essere una donna libera, simbolo di umanità, di lotta, emblema di un netto rifiuto alla rassegnazione davanti alle ingiustizie. Una eroina a tutto tondo, che non fa sconti neanche a se stessa, che si vergogna di ciò che è stato fatto,

E io come avevo fatto, a sedici o diciassette anni, a non trovare niente di strano nel fatto che un ebreo della mia età potesse farsi massacrare di calci su un marciapiede? Come avevo fatto, in un momento della mia vita a pensare che gli ebrei non fossero nostri eguali, che non fossero a tutti gli effetti persone come noi, che li si potesse picchiare impunemente, quando non addirittura uccidere?


Eugenia di Lionel Duroy è un romanzo denso, atroce, che fa tremare il cuore, tiene incollati alle pagine con gli occhi lucidi, un romanzo che impone un esame di coscienza collettivo, una seria riflessione sulle motivazioni della disumanizzazione, quella di ieri e, ancor di più, quella di oggi.


Una lettura necessaria. Non perdetela.