RECENSIONE: “Il cielo in gabbia”, di Christine Leunens (SEM)

Lettori e lettrici de La Parola ai Libri,

oggi condivido con voi la mia opinione su “Il cielo in gabbia” di Christine Leunens, pubblicato da SEM (Società Editrice Milanese), romanzo che ha ispirato il film “Jojo Rabbit”, proprio ora nelle sale cinematografiche, interpretato da Scarlett Johansson, Roman Griffin Davis, Thomasin McKenzie, Rebel Wilson, Stephen Merchant, Alfie Allen e Sam Rockwell.


Autore: Christine Leunens; Titolo: Il cuore in gabbia; Casa editrice: SEM; Pagine: 408; ISBN: 9788893901567; Prezzo: €18,00; Pubblicazione: 21 novembre 2019.

TRAMA

Nel 1938, anno dell’annessione austriaca al Reich, Johannes Betzler è un timido adolescente. Il ragazzo, dopo anni di propaganda a scuola, sedotto dal fascino del Führer, abbraccia l’ideale nazista. Diventa un membro della Gioventù hitleriana, ma a soli diciassette anni, sfigurato da un’esplosione, è costretto a ritirarsi.
Nella sua grande casa a Vienna fa una scoperta devastante. I suoi genitori, fervidi antinazisti, nascondono dietro a un finto muro Elsa, una giovane donna ebrea. Johannes, feroce antisemita, comincia a spiarla, eccitato dall’idea di poter controllare il destino di chi ha imparato a odiare. Elsa, costretta nella soffitta, dipinge e sogna a occhi aperti guardando un angolo di cielo dalla finestra. Ben presto l’astio iniziale di Johannes si trasforma in interesse, poi amore e infine ossessione.
Tra i due si instaura una sorta di “gioco amoroso”, fatto di brevi battute e lunghi silenzi, slanci d’affetto, dispetti e accese discussioni. Elsa è prigioniera del suo nascondiglio e delle attenzioni di lui, ma la sua mente è libera di viaggiare. Johannes, invece, per quanto libero, si scopre sempre più prigioniero dell’ossessione per lei.
Improvvisamente la guerra finisce, Vienna si trasforma, e Johannes si accorge che, caduto il nazismo, Elsa non ha più motivo di rimanere lì. Così, per non perdere quella particolarissima relazione, che spazia tra passione e follia, dipendenza e indifferenza, decide di non farle scoprire la verità, manipolandola a suo favore.


RECENSIONE

Il grosso pericolo del mentire non è che le menzogne non corrispondono al vero, e quindi sono irreali, ma che diventano reali nella mente altrui. Esse sfuggono al controllo del bugiardo come semi liberati nel vento, che germoglia o per conto proprio nei posti più impensati; e un bel giorno il bugiardo si ritrova a contemplare un albero solitario ma non per questo meno robusto, cresciuto sulla parete di un’arida scogliera.

Questa è la storia di una prigione edificata con mattoni di bugie da un carceriere che diventa anche un recluso, vittima dei suoi stessi inganni, delle sue ossessioni. Johannes Betzler, ci inizia al romanzo con una premessa altamente simbolica, una dichiarazione di intenti chiara e decisa: dire la verità, raccontare la verità di una storia, quella della sua vita, fatta di menzogne talmente radicate che, anche a distanza di tempo dagli accadimenti, risultano difficili da districare. La sua intenzione è scindere ciò che è reale da ciò che non lo è, ciò che è stato reale da ciò che non lo è stato. Una necessità la sua che ci spinge a priori a mettere le mani avanti.

Il protagonista si mette completamente a nudo, consapevole del giudizio cui va incontro, senza nascondere nulla.
Ed è per questo che comincia il suo racconto partendo dalla sua nascita, parlandoci del luogo in cui ha vissuto, restituendoci la Vienna degli anni più cupi, della sua famiglia, del legame tra i suoi genitori, dell’unione dei suoi nonni, della morte di sua sorella Ute, di una infanzia trascorsa con persone che lo hanno sempre fatto sentire amato. E’ un ragazzino come molti, sensibile, intelligente, cresciuto con amore. Ma qualcosa cambia. Irrimediabilmente. L’antisemitismo prima e l’ideale hitleriano poi, investono il paese con progressiva prepotenza, piantando radici profonde, invadendo ogni ambito. Da piccoli e quasi impercettibili cambiamenti nella società, si arriva allo stravolgimento politico-sociale che interessa educazione, istruzione, lavoro. L’indottrinamento nazista parte proprio dalla scuola, mutandone la struttura, sostituendo materie ed insegnanti, tutti atti mirati a infondere, inculcare il folle ideale di supremazia della razza ariana a scapito delle altre, in particolare degli ebrei, a deviare i sentimenti più altruistici e nobili, perché i sentimenti erano il peggior nemico del genere umano, a istillare odio, rancore verso “i non puri”, a manipolare giovani menti a loro piacimento, creando dei veri e propri burattini in divisa, tutti uguali.

Adolf Hitler aveva da affidarci una grande missione. Solo noi bambini potevamo salvare il futuro della nostra razza.

Inizia a far parte della Gioventù Hitleriana, abbraccia ciecamente l’ideale nazista e partecipa attivamente alla nuova politica, prendendo parte, ad esempio, al rogo dei libri considerati non il linea con la dottrina. I suoi genitori, pur dovendo mantenere una parvenza di accettazione pubblica alla nuova politica, sono fervidi antinazisti, e in un primo momento tentano di non far perdere la lucidità e l’umanità al figlio. Ma futilmente. Neanche l’incidente causato da una esplosione che gli costa lo sfiguramento e la perdita di un braccio lo convincono a rifiutare il nazismo.

Un giorno, insospettito dai movimenti strani di sua madre in casa, decide di spiarla e fa una scoperta sconvolgente. In casa è nascosta una ebrea. Dapprima trova il passaporto della ragazza, Elsa Kor, poi scopre il nascondiglio, dietro una parete della soffitta.

Non posso negare che pensai di denunciare i miei genitori. Non tanto per la gloria che mi avrebbe procurato quel gesto, quanto perché opponendosi a Hitler si opponevano a ciò che era buono e giusto. Sentivo di dovere proteggere il Fuher dai suoi nemici. Ma in buona sostanza temevo troppo per la mia pelle.

Da questo momento, l’istante in cui i suoi occhi vedono Elsa per la prima volta, comincia un progressivo attaccamento verso la ragazza. Dapprima, la sua esistenza clandestina in casa è causa di uno stato di eccitamento, di rafforzamento di una sorta di potere che sente di poter esercitare su un essere, secondo lui, inferiore. Poi si tramuta in interesse, in paura di perdere quella presenza, e vi si attacca in modo ossessivo, immaginando una relazione con lei, baci, effusioni, un legame che Elsa non avrebbe potuto non considerare un privilegio considerata la sua posizione di “ebrea”. Un’ossessione che si trasforma in tormento,

Il mio tormento per Elsa offuscò ogni possibile contentezza. Senza di lei mi sentivo incompleto, un corpo a metà. Tutt’a un tratto avvertivo la mancanza del mio avambraccio, percepivo il lato immobile del mio volto. Quanto più mancava Elsa, tanto più mi mancavano queste parti di me. Una deficienza che stando con lei scompariva; con lei ero di nuovo tutto intero, la mia esistenza raddoppiava, ero due persone, non una, non metà. Avevo vissuto la sua vita ancor più della mia.

Non riusciamo a dimenticare, nemmeno per un istante, chi è il ragazzo che dà voce a questi pensieri e ad altri simili. I suoi sentimenti non ci emozionano, al contrario ci fanno rabbrividire, retrocedere, mettere le mani in avanti come forma di difesa. Non possiamo mai abbassare la guardia né lo sguardo, trascurare il folle ideale al quale Johannes è votato, ma  restiamo impotenti testimoni di una ossessione che sempre più soffoca e allarma.

Siamo nella sua testa, ed è una postazione claustrofobica, a tratti inquietante, nonostante una paradossale costante di “normalità”, “quotidianità” nella esistenza di questo ragazzo. Ci chiediamo, ad ogni pagina, fin dove si spingerà, cosa è disposto a fare per avere Elsa. Lui è certo che la ragazza non possa non ricambiarlo, che debba sentirsi addirittura fortunata, una privilegiata perché in quanto ebrea, quindi di razza inferiore, non potrebbe suscitare sentimenti di amore in un giovane di razza pura e superiore.

Fin dove è disposto a spingersi pur di tenerla con sé lo scopriamo presto. Quando la guerra finisce e cade il nazismo, non le dice che è libera di andare via. Le mente, le dice che la guerra l’ha vinta il Fuhrer. E lei deve continuare a restare nascosta, lì, in casa sua, se vuole sopravvivere. E sopravvivere è il minimo che possa fare se vuole manifestare gratitudine al suo “salvatore”.

Cercai faticosamente le parole giuste, poi, senza sapere cosa stavo dicendo, dissi: “Abbiamo vinto la guerra”. (…) Nel mio intimo, in un angolo nascosto del mio cuore, mi domandavo che male c’era a rubare qualche giorno in più.

 


Il cielo in gabbia è stata una esperienza di lettura molto particolare. Il romanzo è serio, impegnativo, richiede concentrazione costante. Nonostante la sequenza degli eventi segua un corso rapido, la lettura è lenta, quasi dovessimo assimilare la prosa con calma, assaporarla ed elaborarla secondo una tempistica precisa, indipendente dal nostro desiderio di arrivare all’epilogo. Presenta una trama particolare, intricata, per certi aspetti angosciante. Capire fin dove l’uomo è disposto a spingersi pur di trattenere un altro essere umano, contro la sua volontà, riflettere su quanto la menzogna possa assumere livelli patologici, fino a non consentire, a chi le ha protratte, di distinguere il reale dal falso, il vero dall’irreale.

Johannes ed Elsa sono entrambi rinchiusi in una gabbia. Elsa, in quella architettata da Johannes, da dove cerca di volare via attraverso la mente, la fantasia, i sogni. Johannes è intrappolato nella gabbia della sua ossessione, da cui è incapace di vedere altra luce se non quella dei suoi sentimenti malati.

Si avverte tutto il lavoro di Christine Leunens, il forte lavoro svolto sulla psicologia dei suoi personaggi, elemento che porta il lettore a sentirsi, spesso, combattuto tra il morale e l’immorale, perché il protagonista non suscita mai empatia, non tenta nemmeno di giustificare il suo essere negativo, al contrario, costringe chi legge a bilanciare cosa sia giusto e cosa sbagliato, il bene e il male, e a giudicarlo, sempre, senza commiserazione.

Ho apprezzato molto di più la prima parte del romanzo; la seconda, dalla metà in poi, in molti punti mi ha disorientata, come se si perdesse un po’, troppo prolissa e dispersiva quasi. Ho faticato a raggiungere il finale, ma allo stesso tempo mi sono chiesta se non fosse proprio questo lo scopo ultimo: arrivare all’epilogo con un senso di cupa confusione, quasi. Mi è dispiaciuto che alcuni eventi non venissero descritti efficacemente, ma accennati solo casualmente, in particolare uno legato alla figura della madre di Johannes.

Mi ha colpita la netta distinzione del concetto di amore tra i due personaggi principali, Johannes ed Elsa, due pensieri agli antipodi ed emblematici, che spingono con urgenza il lettore, ancora una volta, a prendere una posizione e schierarsi dall’una o dall’altra parte. Se per Elsa amare significa sacrificare la propria vita per la libertà dell’altro,

Darsi l’un l’altro spazio e libertà. L’amore non è possessivo, non è rinchiudere l’altro per il proprio piacere. No, sono convinta che l’amore non debba legarci all’altro. L’amore è libero e liberatorio, come l’aria, il vento, sì, come la luce divina.

per Johannes questo non è affatto amore,

Amore significa due persone che stanno insieme a qualunque costo. L’amore è una colla, la più potente che ci sia, che tiene assieme due persone.


Un romanzo che non promuovo a pieni voti, ma che sicuramente mi ha istillato molte riflessioni profonde ed importanti, sia sulla pericolosità degli estremismi, sia sulla pericolosità delle menzogne che finiscono per diventare reali nella mente e nella vita di chi le racconta, sia sull’importanza della libertà, fisica e mentale.


In questi giorni è in tutte le sale cinematografiche il film ispirato dal romanzo. Non ho avuto modo di vederlo, ma dal trailer ho avuto l’impressione che sia molto diverso dallo spirito del libro. Il tono mi è parso ironico, satirico, dissacrante. Ho molta curiosità di vederlo!


Ringrazio la casa editrice di avermi fornito la copia cartacea del romanzo e avermi offerto la possibilità di scoprire una storia diversa, originale, fuori dagli schemi consueti in narrativa.


Fatemi sapere se lo leggerete e cosa ne pensate, alla prossima recensione!