RECENSIONE: “Il ritorno del nativo”, di Thomas Hardy (ROBIN EDIZIONI)

Cari lettori e care lettrici de La Parola ai Libri,
il post di oggi è dedicato alla recensione di un romanzo letto qualche mese fa e che ha richiesto un’attenta riflessione da parte mia; questo perché, da appassionata del genere e, in particolare, di Thomas Hardy, non volevo rischiare di mescolare la mia venerazione verso l’autore con una obiettiva opinione in merito alla lettura del libro in questione. Sto parlando de “Il ritorno del nativo“, edito da Robin Edizioni, che conferma di essere molto, molto attenta nella cura delle proprie pubblicazioni.  


SCHEDA TECNICA

Autore: Thomas Hardy

Titolo: Il ritorno del nativo

Casa editrice: Robin Edizioni – Biblioteca del vascello

A cura di Alessandro Medri

Pagine 552

Prezzo €19,00

Anno di pubblicazione 2018

ISBN 9788872742327

 


 PRESENTAZIONE

Romanzo degli elementi, Il ritorno del nativo: in esso, terra aria acqua e fuoco si intersecano e interagiscono – ciascuno protagonista a suo tempo e a suo modo – secondo un eterno pòlemos, senza requie. Dramma universale degli elementi, allora; e dramma microcosmico dei desideri dei protagonisti, i quali, in una sorta di alchimia imperfetta, formano una quaternio giammai ricondotta all’unità, secondo lo spirito dei più profondi moduli tragici, da Hardy sempre amati e praticati. Sì, perché di ciò si tratta: non di un semplice pessimismo, come pure spesso è stato inteso, ma di una visione tragica che investe la struttura stessa di tutto ciò che esiste, e che nella vita umana si manifesta nella maniera più dolorosamente evidente. Di questo che, forse, dal punto di vista letterario, è il capolavoro dell’autore, si è cercato di fornire una nuova traduzione che rispettasse il più possibile lo stile originale, con la sua complessa sintassi che tenta d riprodurre l’articolata dinamica elementare del mondo, il suo frequente impiego di termini rari e tecnici, il suo andamento consapevolmente poetico, la sua coinvolgente temperie emotiva. Si è voluto quindi rimanere il più possibile fedeli e aderenti al dettato hardyano, senza che questo incidesse sulla scorrevolezza dell’italiano. Il volume è inoltre arricchito da un’introduzione, che punta a fornire una lettura complessiva e in parte originale del romanzo, e da un ricco apparato di note, inteso a esplicare i punti poco chiari, i vocaboli desueti e alcune delle suggestioni nascoste che potrebbero sfuggire ad una lettura superficiale.


LA MIA OPINIONE

The return of the Native è un romanzo del 1878 di Thomas Hardy. Parlare e scrivere di un autore eminente come Thomas Hardy non è per nulla semplice, come si potrà immaginare. Posso, tuttavia, iniziare dicendovi per quale ragione lo ammiri tanto: la sua penna è sublime, la costruzione della narrazione praticamente impeccabile; le tematiche e i personaggi affascinanti ed intriganti, la capacità di riprodurre immagini evocative e poetiche, perfino i colori e gli odori, nella mente del lettore, penso siano tratti unici e che contraddistiguano solamente i grandi scrittori.

Ho affrontato con emozione ed entusiasmo questa lettura, affascinata anche dalla presentazione della casa editrice che, lasciatemelo dire, ha svolto un lavoro encomiabile, nella traduzione, nell’attenzione con cui ha lavorato a questo volume, un libro impreziosito da una introduzione dettagliata ed estremamente interessante (ma che consiglio di leggere alla fine per non incorrere in spoiler della trama), un corposo ed utilissimo corredo di note che mi ha permesso anche di approfondire aspetti del testo e della sua analisi nonché comprendere passaggi maggiormente profondi. Una edizione che, senza dubbio, consiglio, valida e completa, un lavoro tangibile che non tutti svolgono con tanta passione e devozione.

Ci troviamo nel Wessex, nella landa di Egdon Heath, una vasta distesa di terre selvagge aperta, una brughiera descritta con una poetica altissima e di cui ci sembra di sentire perfino il profumo, nella quale a tratti ci si sente avvolti, a tratti imprigionati, a tratti respinti. L’importanza del luogo è sottolineata in diversi punti della narrazione e ci viene servita con puntuale perfezione descrittiva,

Il luogo era invero un parente stretto della notte, e quando la notte si mostrava essere percepita nelle sue ombre e nel suo paesaggio un’evidente tendenza a gravitare insieme. (…) Era un luogo che ritornava alla memoria di coloro i quali lo amavano con un aspetto particolare e benevola corrispondenza. (…) Al momento era un posto perfettamente in accordo con la natura dell’uomo – né spettrale, odioso, né raccapricciante; né banale, insignificante, né insulso; ma, come l’uomo, trascurato e paziente; e per di più singolarmente colossale e misterioso nella sua tetra monotonia. Come in alcune persone che hanno vissuto a lungo isolate, la solitudine pareva emergere dai suoi tratti. Aveva un volto solitario, che suggeriva tragiche possibilità. Questo paese oscuro, arcaico, superato figura nel Domesday. La sua condizione vi è registrata come quella di un’area selvaggia piena di erica, ginestra e rovi – “Bruaria” [brughiera].

Tutte le vicende si svolgono entro questo vasto quanto ridotto spazio, la brughiera, che può considerarsi a tutti gli effetti protagonista del romanzo. I personaggi si muovono in questa natura, selvaggia e indomabile, con spirito di devozione quasi, con un profondo senso del dovere, del lavoro, del sacrificio e secondo le convezioni sociali del tempo, comprese tradizioni, rituali, regole di convivenza. Ho avuto l’impressione, del tutto piacevole, che ogni singolo personaggio, anche minore, abbia una funzione precisa, cristallina e di vitale importanza nella trama, trama in cui possiamo riconoscere cinque personaggi principali, in balia di un destino che non possono osteggiare, nonostante, in alcuni momenti, abbiano tutto il desiderio di farlo: Thomasin (Tamsin) Yeobright, Damon Wildeve, Eustacia Vye, Clym Yeobright e il reddleman (venditore di ocra rossa) Diggory. La forte caratterizzazione dei personaggi diviene, pagina dopo pagina, sempre più marcata e necessaria. Cosa accomuna tutti loro? Una ricerca. Ricerca di amore, ricerca di riscatto, ricerca di libertà. Ognuno a suo modo, relativamente alla propria personalità. Ed è su questo punto che devo soffermarmi per sottolineare con quanta bravura Thomas Hardy riesca a dare vita alle sue creature di inchiostro, rendendole credibili, perché così simili a noi, coerenti ma anche inevitabilmente contraddittori, fragili, in balia dei sentimenti e dei desideri, nessuno di loro è perfetto, ognuno di loro combatte la propria battaglia sul campo nel vortice della tragedia e del dramma in consueto stile Hardy.

Clym Yeobright è il “nativo” che fa ritorno a Edgon, con la volontà di dedicarsi alla sua vocazione di maestro nelle terre di origine, dopo anni trascorsi a Parigi in veste di commerciante di preziosi. E’ un uomo che, agli occhi dell’irrequieta e sognante Eustacia Vye, suscita un fascino nuovo, perché egli ha visto il mondo, ha spostato i suoi confini dalla stretta brughiera fino alle città, un uomo giovane e intelligente, e ancor prima che Clym arrivi, la giovane già fantastica su possibili risvolti nella vuota vita in quella landa. I due non potrebbero essere più diversi; nulla, in apparenza, sembrerebbe poterli unire, ogni cosa sembra dividerli, non in ultimo un destino crudele, vendicativo, che non lascia scampo, né perdona. Non mancano, e sono stupefacenti, i colpi di scena, i malintesi e gli intrecci ben legati tra di loro nella narrazione, uno dopo l’altro, costretti a rivelarsi e a mutare il quadro della situazione, inevitabilmente e irrimediabilmente. Thomasin Yeobright, cugina di Clym, accetta di sposare Wildeve, un uomo colto e istruito, rovinato dall’ostentazione, che tuttavia non segue la professione, ma prende un’osteria, il Quiet Woman Inn. L’uomo, innamorato in realtà di un’altra donna, non si presenta il giorno delle nozze, dando il via ad una serie di eventi concatenati tra loro. Ed ecco la provvidenziale entrata in scena del reddleman Diggory, che riporta Thomasin a casa e per la quale nutre un amore profondo, sincero, generoso, un amore che palesa nel voler ad ogni costo la felicità della ragazza, prima che la propria. Rappresenta la figura, in tutto e per tutto, di quello che dovrebbe essere l’amore vero, il bene, mentre quello di Wildeve per la sua amante è il male, non può che derivarne castigo, non può che indurre il destino a vendicarsi per riportare ordine ed equilibrio. I personaggi non possono in alcun modo opporsi alle regole, alla Natura, al destino, a forze più grandi di loro, perché non otterranno nulla se non un più rigido scatenarsi d’ira e di vendetta.

Non è mia intenzione svelarvi nulla, difatti, anche nella esposizione dei personaggi e del loro ruolo, ho cercato di restare vaga, perché non potrei perdonarmi se vi rovinassi la lettura di questo meraviglioso romanzo, un romanzo che vi sorprenderà, vi commuoverà, vi emozionerà, vi indurrà a riflettere sull’indole dell’uomo, sui sentimenti, sul destino, sulla vita. Pagina dopo pagina non potrete non notare quante simbologie Hardy ha utilizzato, quante analogie e altrettanti riferimenti non casuali ha inserito nel testo.


Il ritorno del nativo è consigliato (almeno da parte mia) non come primo approccio allo scrittore, ma come un prosieguo nella conoscenza delle sue opere, per apprezzarlo maggiormente e per cogliere le sue caratteristiche con occhio già abituato allo stile. In questo romanzo ho avvertito un Hardy più presente, se così posso dire, nel senso che sono frequenti i suoi interventi e le sue digressioni su temi quali, ad esempio, destino (abbondantemente sottolineato in precedenza e non a caso). Non lasciatevi ingannare da un inizio apparentemente lento, il libro vi coinvolgerà in crescendo, sempre di più.


Un sabato pomeriggio di novembre si stava avvicinando l’ora del crepuscolo, e la vasta distesa di terre selvagge aperte nota come Edgon Heath si faceva più scura di momento in momento. In alto la concava serie di nubi biancastre che occludeva la vista del cielo  era come una tenda che avesse tutta la brughiera per pavimento.

[incipit]



Fatemi sapere se lo avete letto, se lo leggerete, cosa ne pensate, se vi ho incuriositi!