RECENSIONE: “Jalna”, di Mazo de la Roche (Fazi Editore)

Autrice: Mazo de la Roche; Titolo: Jalna; Traduttore: Sabina Terziani; Casa editrice: Fazi Editore; Collana: Le strade; Pagine 382; Prezzo: €18,00; Codice isbn: 9788893255226; Data di pubblicazione: 04/07/2019.


TRAMA

Cent’anni di amori, odi e passioni sullo sfondo dei paesaggi sconfinati del Canada. Una grande saga familiare bestseller in tutto il mondo.
Jalna è il primo romanzo di una saga familiare amatissima che, a partire dagli anni Venti, conquistò generazioni di lettori, con undici milioni di copie vendute e centinaia di edizioni in tutto il mondo. All’epoca della sua prima uscita, la saga di Jalna, ambientata in Canada, era seconda solo a Via col vento fra i bestseller. Grazie a quest’opera, l’autrice, paragonabile a Thomas Hardy, ottenne fama internazionale e fu la prima donna a vincere il prestigioso Atlantic Monthly Prize.
I Whiteoak, numerosa famiglia di origini inglesi, risiedono a Jalna, grande tenuta nell’Ontario che deve il suo nome alla città indiana dove i due capostipiti, il capitano Philip Whiteoak e la moglie Adeline, si sono conosciuti. Molto tempo è trascorso da quel fatidico primo incontro. Oggi – siamo negli anni Venti – l’indomita Adeline, ormai nonna e vedova, tiene le fila di tutta la famiglia mentre aspetta con ansia di festeggiare il suo centesimo compleanno insieme a figli e nipoti: a partire dal piccolo Wakefield, scaltro come pochi, infallibile nell’escogitare trucchi per non studiare e sgraffignare fette di torta, fino al maggiore, Renny, il capofamiglia, grande seduttore che nasconde un animo sensibile. La vita a Jalna scorre tranquilla, fino a quando due nuore appena acquisite arrivano a scombussolarne gli equilibri: la giovanissima Pheasant, figlia illegittima del vicino, il cui ingresso in famiglia è accolto come un oltraggio, e la deliziosa Alayne, americana in carriera che, al contrario, con la sua grazia ammalierà tutti, specialmente gli uomini di casa…
Con una prosa leggera ed elegante e un delizioso sguardo ironico, Mazo de la Roche ci racconta la storia di tre generazioni accompagnandoci in un allegro gioco di intrecci incorniciato dalla bellezza e i colori del paesaggio canadese e dalla quiete della natura incontaminata.

RECENSIONE

In prossimità della pubblicazione del secondo volume della saga familiare canadese, scritta dalla prolifica scrittrice Mazo de La Roche, ho pensato di condividere la mia opinione su “Jalna“, il primo volume che la compone. Ne ho parlato a profusione sul mio profilo instagram già lo scorso anno, quando lo lessi per la prima volta, ma non avevo scritto una recensione dettagliata qui sul blog, per cui rimedio adesso, adesso che l’ho riletto e che mi preparo all’imminente arrivo, il 28 maggio, de “Il gioco della vita“.

Pubblicato per la prima volta nel 1927, “Jalna” è il primo volume di una saga familiare composta da ben sedici libri, l’ultimo dei quali uscito nel 1958. E’ grazie a Fazi Editore che il pubblico italiano può scoprire o riscoprire una tra le più prolifiche scrittrici canadesi del Ventesimo secolo, riportando tra gli scaffali delle librerie (dopo una prima edizione del 1956) il celebre e apprezzatissimo primo romanzo della serie che vede protagonista la chiassosa famiglia Whiteoak, negli incantevoli e sconfinati paesaggi della natura canadese, in Ontario, una saga che copre un arco temporale complessivo che va dal 1854 al 1960.

11 milioni di copie vendute, 193 edizioni inglesi, 92 edizioni straniere. I numeri parlano al posto mio.

Non è superfluo ricordare che Mazo de La Roche è stata la prima donna a vincere l’Atlantic Monthly Prize, prestigioso riconoscimento letterario da 10 mila dollari (130 mila euro di oggi), arrivando a conquistare uno straordinario successo internazionale.


Il romanzo, nella sua interezza, emana un fascino tutto particolare ed ammaliante, capace anche di regalare attimi di beata leggerezza grazie alla penna ironica e pulita della sua autrice, dispiegando una prosa fluida, moderna e arguta,  tinteggiando di luce ed ombre una trama apparentemente semplice, ma che non manca di rivelazioni e colpi di scena, trama che coinvolge il lettore in un romanzo corale, risucchiandolo in questa cerchia ristretta di persone, e dei loro sentimenti.

Sotto quel tetto c’erano degli esseri umani che vivevano, amavano, soffrivano e desideravano.

Jalna, Jalna.

Una volta varcata la sua soglia, tornare indietro è arduo. Parlo per esperienza personale, si. Perché, vedete, questa non è soltanto la memoria di una famiglia, di una dinastia, ma anche la memoria di una casa, di un luogo che racconta e custodisce storie, desideri, tormenti, di un luogo che diventa protagonista al pari degli altri personaggi fisici. Resistere al fascino e all’autorevolezza dei suoi anni e di tutto ciò che ha visto accadere dentro le sue mura è, evidentemente, impossibile. Il lettore viene letteralmente risucchiato in questa dimora, abile com’è a stabilire un legame quasi viscerale con chiunque vi faccia ingresso o vi cerchi riparo.


Siamo negli anni Venti, la vedova, mamma e nonna Adeline che, nonostante la veneranda età, conservava tracce della bellezza di un tempo, è la matriarca novantanovenne della famiglia Whiteoak ed è prossima a festeggiare il suo centesimo compleanno, traguardo a cui riserva tutta l’importanza del caso. Sembra tenere lei le redini di tutto, la sua forte personalità, accompagnata da un individualismo spiccatissimo, suscitano simpatia ed antipatia a fasi alterne, durante la narrazione. La costruzione della tenuta, in cui vive insieme a figli e nipoti, è iniziata molti anni addietro, insieme al suo defunto marito, il capitano Philip Whiteoak,

In un accesso di romanticismo, Philip e Adeline la battezzarono Jalna, in ricordo della postazione militare dove si erano conosciuti. Tutti lo trovarono un nome grazioso, e Jalna si rivelò pervasa da un’atmosfera di allegria e di inespugnabile benessere.

Adeline Court e Philip Whiteoak si incontrano quando lui era di stanza in India, a Jalna appunto. Lei, una bella e giovane irlandese benestante, con un cospicuo patrimonio personale, lui un gentiluomo ben piantato, anche se di rango inferiore. Si innamorarono pazzamente e si sposarono a Bombay nel 1848. La decisione di trasferirsi subentrò dopo aver dato alla luce la loro primogenita Augusta che con la sua presenza lamentosa portò uno strascico di sofferenze alla giovane madre costretta a un lungo e tedioso ricovero in sanatorio. In realtà, determinante fu soprattutto l’insofferenza all’ambiente dei pettegoli borghesi in India, ambiente che iniziava a star loro stretto, per cui partirono prima per l’Inghilterra (una traversata burrascosa) e poi giunsero in Canada, in Ontario, perché un amico di Philip tanto aveva decantato la quiete, la pace e il vivere bene di quel posto, con maestose foreste primordiali, popolate di pini altissimi e incredibilmente fitti (…).
Dalla loro unione, nacquero in seguito altri tre figli: Nicholas, oggi 72 anni, si era sposato in Inghilterra, ma dopo una breve e burrascosa convivenza, sua moglie lo lasciò per scappare con un ufficiale irlandese, costringendolo a fare ritorno in Canada. E’ quasi certo che il patrimonio andrà a lui una volta che l’amata madre passerà a miglior vita; Ernest, 70 anni, scapolo, passa la vita a lavorare alla stesura di commenti all’opera di Shakespeare. Brama di essere l’erede unico di Jalna, e di sovente si tormenta pensando a chi, Adeline, avrebbe lasciato la sua eredità. Philip, defunto, si era sposato due volte: la prima, con la figlia di un medico scozzese, dalla quale ebbe due figli, Meg (oggi 40 anni, con un matrimonio annullato poco prima della sua celebrazione, dedita ai fratelli, dei quali è gelosa, e inamovibile nelle sue decisioni) e Renny (oggi 38 anni, irascibile, orgoglioso, impulsivo e tanto affascinante, padrone di Jalna); la seconda moglie fu la governante dei suoi figli che nel frattempo erano rimasti orfani. Dalla seconda moglie (sempre trattata con freddezza dall’intera famiglia) ebbe quattro figli: Wakefield, 9 anni (un birbante molto astuto, che sa come ottenere ciò che vuole, attraverso bugie e lacrime a comando), Eden, 23 (il lavoro non fa per lui, scrive poesie e poemi), Piers, 20 (un ragazzo ostinato, ma fedele, dedito al lavoro nella tenuta) e Finch, 16 (studia con non troppi buoni risultati, è un adolescente timido e insicuro, ama la musica).  Philip jr, tuttavia, era sempre stato il figlio prediletto per suo padre, tanto da lasciare a lui Jalna e i terreni, dopo la sua morte.

La genesi della dinastia (la storia di Adeline e Philip), ci viene soltanto accennata, per dare una cornice a ciò che i nostri occhi vedranno nel presente, un presente focalizzato prettamente sui figli e sui nipoti dell’anziana e burbera Adeline, sempre accompagnata dall’inseparabile pappagallo Boney (così chiamato per sfregio a Bonaparte).
Iniziamo a conoscere i componenti della famiglia durante un pranzo, circostanza che potrà apparire casuale in un primo momento, ma che a ben vedere non lo è affatto. Attraverso questo espediente, Mazo de la Roche può risaltare il modo con cui si caratterizza il vivace ambiente familiare, radunato intorno al tavolo.

Modi di dire volavano da un capo all’altro del tavolo, parole cozzavano fra loro: forse si trattava dei soliti argomenti, quelli che generavano discussioni infinite su cosa andava seminato quell’anno, su come gestire Finch che studiava in città; su quale dei tre figli della nonna avesse rovinato di più la propria vita: se Nicholas, seduto alla sinistra della matriarca, il quale aveva sperperato il patrimonio in una gioventù dissoluta; o Ernest, alla sua destra, che si era rovinato con nebulose speculazioni, intestandosi cambiali di fratelli e amici; oppure Philip, che ormai godeva dell’eterno riposo, il quale si era risposato (per giunta con un’inferiore) generando quattro inutili zavorre – Eden, Piers, Finch e Wakefield – in una famiglia già gravata da enormi problemi.

Ed è solo nella sala da pranzo che i Whiteoak sono pienamente loro stessi,

In quella stanza i Whiteoak potevano bisticciare, rimpinzarsi, bere e quant’altro, sicuri che il mondo non li avrebbe disturbati.

All’esterno, cercano di preservare il decoro richiesto dalle regole sociali, proteggono e osservano le apparenze, ne avremo chiare prove nel corso delle vicende, anche se alcuni componenti rivelano una forte personalità, tanto determinata da seguire i propri sentimenti più che l’opinione altrui.


A movimentare quella che è la loro normalità e l’equilibrio di questa folla vociante sarà l’ingresso in scena di due figure femminili, Pheasant e Alayne, che sposano, rispettivamente, Piers e Eden.

Questi avvenimenti mostreranno, in maniera inequivocabile, la natura dei caratteri di ognuno di loro, le reazioni contrastanti ed opposte alle due unioni nonché alle due nuove ragazze che entrano nel “clan”, perché se la prima, Pheasent, viene accolta con poca cortesia ed affetto (essendo la figlia illegittima del loro vicino di casa, Maurice Vaughan), la seconda, Alayne, è celebrata con eclatante entusiasmo, perché considerata una ricca ereditiera americana. La giovane Pheasent è “socialmente inferiore”, e come se non bastasse è la figlia di Maurice, di quel Maurice; la loro unione è un disonore, secondo la famiglia e , in particolare, secondo Meg, il disonore, quello sì che rimarrà per sempre, anche se te ne vai all’altro capo del mondo. Hai decretato la fine di tutto; ma Piers l’ama, la conosce da quando erano piccoli, e decide di andare contro tutti per stare insieme a lei. Diversa è la nascita dell’amore tra Eden ed Alayne, uno scoppio improvviso e totale. Lei, 28 anni e indipendente, lavora per una casa editrice, ed è proprio attraverso il suo lavoro che conosce Eden, che stava per pubblicare il suo libro con l’editore americano per il quale lei lavora. Dapprima affascinata dalla sua penna, dai suoi versi, dal suo genio, resta ammaliata dalla sua persona, e dopo sole due settimane decidono di sposarsi. Un matrimonio avventato, si direbbe, tanto che decide di lasciare la sua vita a New York per trasferirsi a Jalna, appoggiando la vocazione di suo marito.

Tutti ne sono colpiti, soprattutto i “maschi” della famiglia. Quasi inconsapevolmente, Alayne esercita su di loro uno strano potere di attrazione e ammirazione. E mentre lei, man mano che i giorni passano e man mano che il ritratto familiare dei Whiteoak prende una sostanza diversa rispetto a quello che si era creata nella mente prima di arrivare nella tenuta, inizia a prendere coscienza dell’avventatezza delle proprie scelte, e a osservare chi ha vicino con occhi più razionali. Amava davvero Eden o si era trattato di un fuoco di paglia?


Ulteriori considerazioni

Le pagine del romanzo scorrono con un ritmo piacevole, inclusivo. Pur trattandosi del primo romanzo di una lunga serie, Mazo de La Roche, non si limita ad introdurre i personaggi evidenziando le peculiarità di ognuno, ma crea un movimento attorno alle vicende, un movimento che sorprende il lettore. Il movimento non è dato solo da alcuni colpi di scena tra i vari personaggi, ma anche dalla capacità di indurre il lettore all’intuizione e alle macchinazioni, di fargli presagire il clima dell’ambiente ricreato, di portarlo a meravigliarsi di fronte agli scoppi di passioni inimmaginabili, agli amori contrastati, ai rimpianti di gioventù, agli amori forse mai finiti, alle reazioni spropositate della matriarca e del suo pappagallo che impreca in indù, alla sua astuzia sottile nel tenere tutti sul filo dell’incomprensione e dell’apprensione circa l’eredità e il suo patrimonio, nel dare forma concreta e tangibile ai Whiteoak, umani e quindi imperfetti, con pregi, opportunità, limiti, fragilità e passioni travolgenti.

Prendo in prestito le parole di Alyane: opprimenti, tediosi, focosi, arroganti, eppure vedeva la bellezza che si creava nel loro salotto, da loro. 

E anche noi la vediamo, e finiamo inevitabilmente per affezionarci.