RECENSIONE: “La donna che non invecchiava più”, di Grégoire Delacourt (DeA Planeta)

  1. Cari lettori e care lettrici de La Parola ai Libri,
    di quale bel libro vi parlo oggi? Dell’ultimo romanzo di Grégoire Delacourt, La donna che non invecchiava più, pubblicato da DeA Planeta nel novembre del 2018 e che si è rivelata una lettura piacevole, tratteggiata da profonde riflessioni, paradossi e una scrittura rapida, ma incisiva.”


SCHEDA TECNICA

Autore Grégoire Delacourt
Titolo La donna che non invecchiava più
Editore DeA Planeta
Genere Narrativa
Pag. 200
Prezzo € 15,00
Formato cartonato con sovraccoperta
Pubblicazione 13/11/2018
ISBN 9788851165673


TRAMA

Perché è l’amore l’unico vero anti-età.

Ci sono quelle che non invecchiano mai perché se ne sono andate troppo presto. Ci sono quelle che invecchiano senza patemi, perché sono troppo impegnate a godersi la vita. Ci sono quelle disposte a tutto pur di apparire più belle, più magre, più sexy, pur di negare l’ineluttabile e restare aggrappate a ciò che il tempo si ostina a volerci strappare. E poi c’è Betty. Betty che, misteriosamente, smette di invecchiare appena compiuti i trent’anni – la stessa età della madre al tempo della sua tragica e prematura scomparsa. Sul volto di Betty gli anni scorrono innocui e trasparenti come acqua. Sarà forse lo sguardo intenso e innamorato di suo marito a tenere lontane le rughe? A scongiurare gli effetti dei giorni che inesorabili scivolano tra le dita? Man mano che la sua anomalia si fa più evidente, la vita un tempo tranquilla di Betty comincia a vacillare. Perché un volto senza età è un volto senza storia, senza ricordi, senza passioni. Uno specchio vuoto in cui, presto o tardi, gli altri cessano di riconoscersi. La donna che non invecchiava più è un romanzo-manifesto pieno di poesia e di saggezza sull’ultimo vero tabù dei nostri tempi, la vecchiaia. Un inno appassionato alla forza e alla bellezza delle ragazze di ogni età.


RECENSIONE

“Al Louvre mi mostrò, sconvolta, il quadro di Raffaello, La bella giardiniera, conosciuto anche come Madonna con il bambino e San Giovannino. Guarda questa donna, Martine, guarda la purezza del suo viso, lei non invecchierà mai, è sconvolgente, è come se sfidasse la morte, non trovi? Avevo undici anni, non capii che mi stava spiegando la sofferenza delle donne, l’atavica paura del tempo che cancella, trasforma e dissolve, fino a far scomparire il fascino, l’eleganza, il desiderio,, la vita stessa, senza lasciare altro che cenere, nient’altro cheil terrore della solitudine a venire.”

Nell’intimo di molte donne si annida insidioso, a volte a livello incoscio, il timore di invecchiare, di perdere la freschezza e la luminosità nel viso, nel sorriso, negli occhi, di non essere più, con il passare degli anni, attraenti e oggetto di attenzione maschile. Chissà in quante sognano di fermare lo scorrere del tempo, nemico mortale della pelle e della sua elasticità. Provate ad immaginare che ciò sia possibile. Provate ad immaginare che, di colpo, quel desiderio diventi realtà, che smettiate di invecchiare, con il mondo attorno a voi che scorre alla velocità di sempre. Tante si direbbero felici, tante urlerebbero al miracolo, entusiaste di poter sorridere senza temere l’accentuarsi di rughe di espressione agli angoli della bocca. Tante, si. Ma non Betty.

Betty è la protagonista di questo romanzo. In realtà il suo nome è Martine, ma il nome Betty

aveva una sonorità inglese che mi piaceva molto, da cantante folk, e il suo sognificato mi affascinava: “Le Betty sono donne dolci, sentimentali, emotive e attraenti. Determinate e ottimiste, la loro filosofia di vita le aiuta a superare le difficoltà. Cordiali e piacevoli, ci si sente subito a proprio agio accanto a loro.”

Ci racconta la sua storia in prima persona, per accompagnarci e svelarci ogni fase della sua vita, partendo dalla tenera età di un anno, di due, tre, fino ai fatidici trenta, quando smette, all’improvviso, di invecchiare, esponendoci le ripercussioni di questa anomalia negli anni avvenire, quando vede andare in pezzi tutto ciò che aveva costruito. Una vita serena e nella norma fino ad un certo punto, fatta di spensieratezza, ma anche di perdita (con la morte di sua madre), di crescita, di esperienze personali e sociali. I primi amori, la scuola, gli amici, gli ideali, l’incontro con suo marito, la costruzione di una famiglia. Mi ha molto commossa il peso dell’assenza di sua madre nella sua vita, è talmente percettibile che è stato difficile non provare empatia verso di lei e suoi sentimenti.

Le mamme mancano. La mia aveva braccia che accoglievano, capivano e consolavano. Avrei voluto piangere di nuovo tra le sue braccia, raggomitolrmici dentro, sentire ancora una volta sono qui, ancora una volta ti vorrò bene per sempre, Martine, qualsiasi cosa tu faccia.

Quella che, agli occhi di tanti, può sembrare una benedizione, per Betty diventa una maledizione, una condanna.
Inizialmente nessuno si accorge di quello che le sta accadendo, nemmeno lei. Sarà attraverso un progetto fotografico che prevedeva uno scatto per ogni anno per un certo numero di anni, nella stessa posizione e con le medesime espressioni, per fissare il passaggio del tempo sui volti e il loro racconto, che Betty (e chi le sta vicino) si rende conto che qualcosa non va. Lei non invecchia. Lei resta sempre uguale. Dall’età di trent’anni.

Ero come una promessa immortale.

Con una scrittura rapida, scorrevole, quasi apparentemente noncurante, Delacourt scava nel profondo, con uno stile delicato, ma elegante, leggero, ma mirato a dare, paradossalmente, maggiore rilievo alle tematiche affrontate. In un primo momento ho creduto che volesse offrirci una storia per sorridere, man mano che mi addentravo nella trama, tuttavia, ho compreso quanto, invece, ci stesse portando a riflettere sull’importanza del tempo e di quello che disegna su di noi e dentro di noi, la pericolosità dell’arrestarsi di un processo naturale che porta alla perdita del proprio posto nel mondo, perché un volto senza età è un volto senza storia, senza ricordi, senza passioni. Uno specchio vuoto in cui, presto o tardi, gli altri cessano di riconoscersi.

Una prosa essenziale, ma trasparente, fluida, non ancorata a prolisse descrizioni (che per come è strutturato il romanzo, stonerebbe, a mio avviso) e con pochissimi dialoghi.
Ancora una volta, dopo Le cose che non ho e La prima cosa che guardo, Delacourt ci regala un romanzo in cui riconoscere la sua penna e la sua saggezza, il suo voler indurre a riflettere su ciò che lasciamo scorrere con superficialità, su ciò che sembra incutere più paura: la vecchiaia.

Desideravo una storia semplice, una di quelle che non trovi nei libri ma nella vita vera; sognavo la pace e il tempo, sognavo la lentezza, volevo ancora crescere, sbocciare accanto a un compagno come all’ombra tiepida di un albero, volevo dei figli, il profumo della cioccolata calda, le tacche dell’altezza sugli stipiti delle porte, i disegni maldestri; volevo invecchiare accanto a un uomo buono, paziente, e poi un giorno essere nonna, diventare con lui una di quelle coppie di vecchietti che si incontrano a volte nei parchi, su una panchina, che si tengono per mano e in cui la bellezza scolora dolcemente dall’uno all’altra…”

La lettura del romanzo non mi è dispiaciuta affatto, anzi. Continua a piacermi il modo in cui Delacourt si distingue nello scrivere e strutturare i suoi libri.


Fatemi sapere se lo leggerete, così potremo confrontare i nostri pareri al riguardo.