RECENSIONE: “Le città di carta”, di Dominique Fortier (Alter Ego)

Titolo: Le città di carta; Autrice: Dominique Fortier; Casa editrice: Alter Ego; Traduzione: Camilla Diez; ISBN 9788893331791; pp.189; Prezzo € 16,00; Data di pubblicazione: 21/09/2020.


DESCRIZIONE
Chi era Emily Dickinson? Più di un secolo dopo la sua morte, di lei non sappiamo quasi nulla. Nacque nel 1830 in Massachusetts, morì nel 1886 nella stessa casa. Non si sposò e non ebbe figli, gli ultimi anni li trascorse in clausura nella sua stanza. Tra quelle mura ha scritto centinaia di poesie, che ha sempre rifiutato di pubblicare. Oggi viene considerata una delle figure più importanti della letteratura mondiale.
Partendo dai luoghi in cui la poetessa ha vissuto – Amherst, Boston, il seminario femminile di Mount Holyoke, Homestead –, Dominique Fortier tratteggia la sua vita: un’esistenza essenzialmente interiore, vissuta tra giardini, fantasmi familiari e viaggi attraverso le pagine dei libri.
Le città di carta ci restituisce un delicato riflesso della Dickinson e ci fa riflettere sulla libertà, sul potere della creazione, sui luoghi in cui abitiamo e che a loro volta ci abitano. Un cammino incantato di grazia e bellezza.

RECENSIONE

Nella sua stanza ci sono un letto, un comò, un tavolino con una sedia e pile di libri ovunque. Nei libri ci sono tutti i paesi del mondo, le stelle del cielo, i fiori, gli alberi, gli uccelli, i ragni e i funghi. Moltitudini reali e inventate. Nei libri ci sono altri libri, come un palazzo di ghiaccio in cui ogni specchio riflette un altro specchio, via via più piccolo, finché gli uomini non diventano delle dimensioni di una formica. Ogni libro ne contiene cento. Sono porte che si aprono e non si chiudono mai. Emily vive in mezzo a un’infinità di correnti. Le ci vuole sempre una scialletta di lana.

Ancora oggi ci si chiede per quale ragione Emily Dickinson abbia deciso di estraniarsi e vivere lontana dal mondo, fin da giovane, chiusa nella sua stanza, dove si rinchiude, progressivamente, in modo totale, anche se Dominique Fortier non ci parla di “reclusione”,

Emily non è nascosta, non è nemmeno reclusa. È nel cuore delle cose, nel punto più profondo di se stessa, raccolta, posata in equilibrio tra le api del giardino e le due Orse, la maggiore e la minore (…) È una vita perfetta, perfettamente chiusa, racchiusa in se stessa. 

Si conosce davvero molto poco della poetessa americana, e in tanti hanno solo potuto congetturare sulla sua personalità fuori dal comune, eppure è divenuta una delle poetesse più amate di tutti i tempi.

Che Emily avesse un carattere introverso, particolarmente incline alla solitudine, che avesse un suo peculiare modo di sentire, vedere, percepire la vita, dentro e fuori dalle mura di casa, si riesce facilmente a stabilirlo.

Con la lettura de “Le città di carta” di Dominique Fortier ho aggiunto qualche tassello in più all’idea maturata e radicata nel mio pensiero. Emily concepiva il mondo in maniera differente; vivere e cogliere la realtà non coincideva con la comune concezione del mondo esterno, per lei tutto partiva da dentro. Non sentiva l’esigenza del fuori, perché tutto ciò che per lei contava poteva vederlo dalla finestra, riuscendo conferirgli eternità attraverso la scrittura. Lei viveva di parole.

La poesia non era quella dei poeti che parlavano e guardavano a loro stessi, o che parlavano agli altri ma per celebrare comunque loro stessi osservando i propri riflessi nel vetro della finestra. Emily non guardava a se stessa, guardava alla vera poesia, la natura, principalmente.

Anche per questa ragione non amava gli esseri fatti di carne, ma gli esseri di carta, desiderando di esserlo a sua volta. Non cercava la fama, non la voleva, non scriveva perché i suoi componimenti venissero pubblicati, infatti mentre è in vita vengono pubblicate solo una manciata di poesie. A lei importava sapere se ciò che scriveva fosse vivo.

Siete troppo impegnato per dirmi se le mie poesie sono vive?

Ho trovato “Le città di carta” una lettura molto particolare, delicata, rispettosa, diversa da molti approcci verso Emily Dickinson. A partire dalla struttura, che si compone di passaggi che riguardano direttamente l’autrice Dominique Fortier e frammenti che riguardano la poetessa Emily. Ci sono riferimenti all’infanzia, all’attaccamento ai luoghi, all’erbario realizzato da Emily durante l’adolescenza, alla famiglia e ai rapporti con i genitori, con il fratello e la sorella, all’istruzione, passaggio che non manca di ironia, perché mentre al fratello si apre la porta della facoltà di legge, a Emily e a sua sorella si apre quella di casa, dato il loro talento con i mestieri casalinghi.

La linea che separa fatti veri da fatti solo immaginati dall’autrice è davvero labile, impegnati come siamo a viaggiare insieme a lei in questa scoperta sulle tracce di Emily e del suo animo profondo. Un viaggio tanto platonico quanto fisico, perché Dominique Fortier attraversa i posti in cui Emily ha vissuto.

Diapositive di immagini, di ricordi, ricostruzioni possibili, aneddoti e riflessi, simbologia e introspezione, un tono pacato e poetico, molto interiore e sicuramente nuovo. 

Devo dire che la lettura mi ha coinvolta soprattutto nella seconda parte, quando ho avvertito un coinvolgimento maggiore e più inclusivo, soprattutto grazie alle suggestioni che ha saputo stimolare l’autrice, utilizzando un velo sottile e necessario per farci arrivare a percepire l’intimo di Emily, la sua poesia che sta sbocciando e la poesia che si compie.


Un testo molto interessante, che mi ha lasciata con la curiosità di continuare a indagare sulla vita e l’arte dell’eterna Emily Dickinson.


(#gifted Alter Ego)

Non esiste un vascello veloce come un libro

per portarci in terre lontane

né corsieri come una pagina

di poesie che si impenna –

questa traversata

può farla anche il povero

senza oppressione di pedaggio –

tanto è frugale

il carro dell’anima.