Lettori e lettrici de La Parola ai Libri,
la recensione di oggi è dedicata ad un romanzo del 1969 di Elizabeth Jane Howard,
autrice della apprezzatissima saga dei Cazalet,
intitolato Le mezze verità,
pubblicato da Fazi Editore lo scorso 17 ottobre,
con la traduzione di Manuela Francescon.
TRAMA
May Browne-Lacey ha da poco sposato in seconde nozze il Colonnello Herbert; entrambi hanno figli dai precedenti matrimoni e vivono in una casa di singolare bruttezza nelle campagne del Surrey, fortemente voluta dall’uomo e acquistata con l’eredità di May.
Alice, la figlia di Herbert, si sta per sposare, più per fuggire dal padre che per amore. Il Colonnello non piace nemmeno ai due figli di May, Oliver ed Elizabeth: lo considerano un borioso tiranno che si comporta in modo strano e opprime la madre. Oliver, un ventenne brillante e ironico, abita a Londra, non ha un lavoro stabile e vorrebbe tanto sposare una donna ricca che lo mantenga. Elizabeth, la sorella minore, che nutre un complesso di inferiorità nei suoi confronti, è una ragazza ingenua e sentimentale. Quando quest’ultima decide di trasferirsi a casa del fratello per cercare lavoro, May, rimasta sola nel Surrey con Herbert, inizia a pentirsi amaramente di averlo sposato. Intanto Elizabeth trova lavoro e anche l’amore, Oliver cerca la sua ereditiera mentre si fa mantenere dalla sorella, e Alice, incinta e infelice, vorrebbe scappare di nuovo. In questo sottile ritratto di una famiglia in crisi, ognuno deve fare i conti con una mezza verità che lo tormenta; ma la tragedia è dietro l’angolo e quando arriva spazza via quell’aria di non detto che così a lungo ha gravato sui protagonisti.
Attraverso la sua scrittura audace e affascinante, in Le mezze verità Elizabeth Jane Howard trascina il lettore in una commedia dalle sfumature noir che è anche un romanzo sulle molteplici declinazioni dell’amore: l’amore coniugale, quello familiare, quello passionale e quello che proprio amore non è.
RECENSIONE
Siamo così ansiosi di capire il comportamento degli altri che ci raccontiamo un sacco di storie, ci inventiamo un sacco di sfumature, ma non ci capiamo un bel niente.
Le mezze verità racconta le complesse e non sempre facilmente decifrabili dinamiche che interessano una famiglia non convenzionale, in cui ciascun componente fugge da una mezza verità con la quale è costretto, per forza di cose, a fare i conti, con se stesso e con gli altri, prima o poi, e il poi non tarda ad arrivare.
May Browney-Lacey, una donna con scarso senso pratico, svampita ma incline alla gentilezza, deve vedersela ogni giorno con le conseguenze derivanti la sua scelta di sposare, in seconde nozze, il Colonnello Herbert, un uomo ottuso, autoritario, un tiranno,
Il tipo di persona con cui non ci si sforza nemmeno di andare d’accordo, perché nessuno vorrebbe essere simpatico a uno così.
Vivono in una casa orribile, fredda, costosa ed inospitale nella campagna del Surrey, fortemente voluta dal Colonnello e acquistata con i soldi di May, chiamata Monk’s Close. Entrambi hanno figli avuti dai loro precedenti matrimoni: Oliver ed Elizabeth sono i figli di May, Alice è l’unica figlia di Herbert.
Oliver è un ragazzo brillante, divertente, bello, istruito, laureato ad Oxford. Vive a Londra, nell’appartamento a Lincoln Street messo a disposizione da sua madre, ed ha le idee chiare su ciò che vorrebbe dalla vita,
Quello che voglio è avere a disposizione un’enorme quantità di denaro senza muovere un dito. Tutti i lavori che ci sono mi sembrano così orribili che preferirei vivere di stenti. (…) L’unica strada per me è sposare una donna ricca e lasciare che la gente parlo delle cose magnifiche che avrei fatto se non l’avessi incontrata.
Elizabeth vive un senso di inferiorità nei confronti del fratello, ai suoi occhi in grado di imbastire conversazioni di qualsiasi argomento e condurre un vita libera. È una sognatrice, ma si dimostra anche pratica ed è colei che meglio di tutti è riuscita a rendere l’idea di come siano i membri della sua famiglia,
Le facevano pensare alla vita come a una corda da funambolo, sulla quale tutto sembra facile finché non si guarda in basso, ma appena lo si fa…
Quando si trasferisce a Londra con il fratello, prova un euforico senso di libertà e liberazione nei confronti dell’opprimente esistenza condotta tra le mura di Monk’s Close, ma anche un profondo senso di colpa nei confronti di sua madre che, da parte sua, non lascia trapelare lo sconforto dovuto a questa scelta, accettando che i figli vadano in cerca della loro strada.
A Londra, Elizabeth si rimbocca le maniche, al contrario di Oliver, e trova lavoro come cuoca. Non è facile stare dietro ai ritmi sregolati di suo fratello all’inizio, ma piano piano, Elizabeth trova la sua strada, mostrando uno spirito di indipendenza sicuramente maggiore del fratello, la cui unica ambizione pare essere quella di vivacchiare senza assumersi nessuna responsabilità.
La vera svolta nella nuova vita di Elizabeth sarà l’incontro con un “nuovo ricco”, di cui si innamora perdutamente, ricambiata. Da questo momento anche lei cambia moltissimo, diventa trasognata ed euforica, ma non può essere tutto rose e fiori, perché l’uomo, molto più grande di lei, è separato e ha una figlia della stessa età di Elizabeth, che lo tiene in pugno con estrema facilità, visto che il padre si ostina a non trattarla come una adulta per cercare di sanare i sensi di colpa del passato.
Il romanzo si apre con la celebrazione del matrimonio di Alice, la figlia del colonnello Herbert. Un evento che dovrebbe essere lieto e felice, ma che, al contrario, confuta l’esigenza di evadere della giovane e triste ragazza, fuggire dal padre e dalla claustrofobica condizione di solitudine di cui è fatta la sua vita, fin dall’infanzia. Non un matrimonio d’amore con Leslie, quindi, ma un modo per andarsene dalle grinfie opportuniste del Colonnello, matrimonio che, però, diventerà una seconda prigione per Alice. Confesso che è uno dei pochi personaggi per i quali ho provato una sorta di tenerezza. In alcuni momenti avrei voluto abbracciarla e rassicurarla, dirle che non doveva sentirsi sbagliata, fuori luogo, di intralcio agli altri, così insicura e timorosa, e che non avrebbe dovuto sposare un uomo ossessionato dal controllo anche più di suo padre, ma avere fiducia in se stessa.
Da ognuno di questi filoni narrativi emerge una situazione angosciante ed estremamente interessante sia in termini di analisi e approfondimento psicologico dei personaggi, sia in relazione a quello che rappresenta il fulcro del romanzo, ossia le relazioni.
La presa di coscienza, graduale, da parte di May di aver commesso un grave errore nello sposare Herbert, con cui ha poco o niente in comune e, quindi, l’impossibilità di essere felice, non tarderà ad arrivare. Ciò che effettivamente l’ha condotta a farlo (sposarlo) è la sua incapacità di stare da sola, l’esigenza di avere una compagnia, ma non è sufficiente vivere con qualcuno perché la solitudine scompaia, se quella persona non è la persona giusta. Ma riuscirà May ad affrontare il non detto? Riuscirà a fare i conti con le mezze verità che aleggiano intorno a lei? Ed è certa di sapere chi ha sposato davvero?
Ancora una volta ho potuto riscontrare il grande talento di Elizabeth Jane Howard nel riuscire a ritrarre in tutta la loro vividezza ed interezza, i personaggi e la relativa psicologia, approfonditi con scrupolo, risultando talmente tangibili da non rimanere sulla carta, ma affacciarsi dalle pagine e mostrare la loro più intima e per nulla perfetta natura. I personaggi maschili sono ritratti o come deboli, o come incapaci di assumersi le proprie responsabilità, o come figure ottuse e maschiliste, inconcludenti e snervanti, che però trovano terreno fertile nel circuire e mettere le proprie grinfie sulle vittime.
La narrazione appare lenta, laddove lenta non significa noiosa (anzi), ma rispettosa di una precisa tempistica di svolgimento, di maturazione degli eventi, di posizionamento dei vari elementi, dettagli, indizi di cui si è servita la Howard per ingranare e accelerare sul finale, regalando una conclusione del tutto inaspettata.
Le mezze verità è una commedia dalle svariate sfumature, in cui il senso dell’umorismo conduce il lettore verso il ritratto di una società in fermento, in cui le relazioni familiari sono tanto delicate quanto instabili. Un romanzo che regala sincero stupore nel cambiare elegantemente registro nella seconda parte, dove l’atmosfera si fa più cupa e serrata, seguendo una inaspettata scia noir, in cui la Howard scaglia diversi ed inaspettati colpi di scena da lasciare il lettore a bocca aperta.
Il romanzo mi è piaciuto molto, la penna di Elizabeth Jane Howard è audace e pulita, piacevole e intrigante, una penna che mescola bene brio e malinconia, capace di rendere nitide, a chi legge, entrambe le facce di una stessa medaglia.
ALLA PROSSIMA RECENSIONE