RECENSIONE: “L’ora del destino”, di Victoria Shorr (SEM)

Lettori e lettrici de La Parola ai Libri,

oggi parliamo di un romanzo pubblicato lo scorso 12 settembre da SEM,
Società Editrice Milanese,
dal titolo “L’ora del destino“,
scritto dall’autrice americana Victoria Shorr.


Autore: Victoria Shorr; Titolo: L’ora del destino; Casa editrice: SEM; Pagine: 290; Prezzo: € 18,00; ISBN: 9788893901697; Data di pubblicazione: 12 settembre 2019.

SINOSSI

Nel 1802, all’età di ventisei anni, Jane Austen è povera e senza marito. Non ha una casa, ma ha già in mente i suoi futuri, splendidi romanzi. Proprio in questo momento difficile, Jane riceve un’offerta di matrimonio molto vantaggiosa da parte di un uomo ricco, verso il quale però non nutre alcun sentimento. Può scegliere la sicurezza economica, con le regole immutabili della buona società. Oppure può scegliere d’essere libera. Quando la sedicenne Mary Godwin inizia il suo straordinario viaggio d’amore e di formazione attraverso l’Europa, il suo compagno è già una stella del firmamento letterario. Si chiama Percy Bysshe Shelley e anima, insieme con gli amici Lord George Byron e John Keats, il suo tempo. Mary e Percy con la loro esistenza libera e scandalosa sfidano le convenzioni sociali. E anticipano il futuro di molte generazioni ispirate da ardenti ideali libertari. Per un lungo, interminabile anno, in catene nel buio di una cella, Giovanna d’Arco coltiva con ardente fermezza la sua fede. Abbi coraggio, figlia di Dio, sarai salvata le ripetono le voci di Santa Caterina e Santa Margherita, che l’accompagnano fin dall’infanzia. Per un anno, ogni giorno, Giovanna si trova di fronte alla più difficile tra le scelte. L’ora del suo destino coincide con l’abiura. O con la morte sul rogo. In questo sorprendente e documentatissimo libro, Victoria Shorr dipinge il ritratto intimo e profondamente umano di tre giovani donne alle prese con il proprio destino. Jane, Mary e Giovanna sono state ragazze ribelli e sono oggi, nel vibrante racconto di Shorr, tre donne eccezionali che hanno saputo piegare la loro esistenza verso il mito.


RECENSIONE

Difficile andare avanti, difficile credere. Difficile andare avanti quando non si crede.

Questa frase si è fissata nella mente e non mi abbandona da diverso tempo.
Credere.
Quanto coraggio ci vuole per scegliere di portare avanti, contro tutto, ciò in cui si crede?
Moltissimo, oggi come secoli fa. Soprattutto per le donne.
Certo, secoli fa la lotta era decisamente più complessa e difficoltosa, perché i mezzi erano terribilmente limitati.
Eppure, ci sono state donne che non si sono lasciate intimorire e che hanno scelto di essere loro stesse, libere e padrone delle proprie vite. Ribelli.

Victoria Shorr non ha timore nel solcare le pagine attraverso la sua voce presente, partecipata, accalorata, a tratti tagliente e provocatoria. Non ho potuto fare a meno di godere della sua forte inclusione, dell’onda carica di emozione con cui ha, senza dubbio, scritto questo libro. Perché la comprendo, perché è anche la mia, perché la sento, in tutta la potenza possibile.

Come si evince dalla trama, il romanzo prende in analisi tre momenti diversi di tre donne diverse, tre donne che si sono affermate nell’immaginario collettivo come delle eroine, e a giusta ragione, direi. Tre donne che si sono mescolate al mito e ne hanno tramandato uno nuovo, alle generazioni successive, fino ai giorni nostri. Tre donne che, per simbolo e valenza, resteranno immortali.

Jane Austen, Mary Godwin in Shelley, Giovanna d’Arco.

L’originalità della proposta narrativa risiede nel presentarle nella loro natura più intima, anche e soprattutto fragile, mostrando il loro lato più umano, ma sempre caratterizzato dallo spirito tenace della determinazione, forse proprio perché forgiato dalle inevitabili debolezze che possono offuscare la vista del cammino in alcuni momenti della vita.

Ognuna di loro si trova a dovere affrontare il proprio destino. Ognuna di loro scoprirà di possedere la forza necessaria per fare i conti con esso, da sola.

L’ora del destino di Jane Austen ci viene presentata come coincidente al periodo in cui, ormai matura e consapevole che non si sarebbe più sposata, vota gli ultimi anni della sua vita a scrivere e trasferire sui suoi personaggi il suo sentire, i suoi pensieri circa la società a lei contemporanea, con quel suo caratteristico taglio ironico, tanto sottile quanto brillante. Non era contro il matrimonio, anzi, lo sognava come qualsiasi altra ragazza lo sogna, con una sola differenza: esigeva di sposarsi per amore e non perché costretta dalle convenzioni del suo tempo. Non perché senza un marito, in quanto donna, non poteva godere di una rendita o di una eredità paterna (ogni eredità passava ai figli maschi o ai parenti di sesso maschile più prossimi e le donne non sposate diventavano o governanti – se di classe sociale pari a quella di Jane Austen, ma adombrando i parenti – o un fardello per questi ultimi, “costretti” a mantenere le sorelle zitelle). Ha avuto un momento di cedimento nella sua vita, certo che lo ha avuto. Stava per sposare un uomo che poteva garantirle una vita senza preoccupazioni, ma rendendosi conto di non amarlo, rifiuta il matrimonio. Un atto assolutamente rivoluzionario per l’epoca e per la consuetudine. A ciò aggiungiamo che decide di vivere dei proventi dei suoi “figli”, cioè i suoi libri, e (sempre tenendo presente il contesto) ci rendiamo conto della forte personalità di questa donna.

Era nata per scrivere, e si era fatta beffe del mondo per scrivere, aveva rinunciato a un brillante matrimonio, si era seduta sola e triste al posto più umile della tavola alle cene a cui era stata obbligata a partecipare, era stata frugale, aveva risparmiato, si era infuriata ed era stata ferita, offesa in malo modo per poter scrivere, e scrisse. Scrisse come nessuno prima di lei. Di un mondo che le era noto e che rivelò a tutti.

Mary Godwin in Shelley, autrice di “Frankenstein”, ha sfidato la sua famiglia, la società, i pregiudizi e i giudizi della società a lei contemporanea, pur di vivere la sua vita in libertà, pur di stare insieme al suo amore, Percy Bysshe Shelley. Il poeta era già sposato, per cui lo scandalo della fuga tra i due fu ancora più risonante. Ma in lei scorreva il sangue di Mary Wollstonecraft: sua madre, com’è noto, fu la fondatrice del femminismo liberale (vi consiglio di leggere “Sui diritti delle donne”). Questa relazione totalizzante non fu delle più semplici e Victoria Shorr ripercorre alcuni momenti salienti, comprese le difficoltà economiche e il dolore causato dalla perdita dei figli. Il suo momento di fare i conti con il destino arriva quando aspetta di sapere se il grande amore della sua vita tornerà sano e salvo oppure se è stato vittima di un naufragio. Un’attesa carica di doloroso tormento, incertezze e fragilità, di domande.

Lui aveva catturato la sua immaginazione, e questo tra persone come loro rappresentava la ragione più importante perché nascesse un amore vero. Li aveva portati entrambi su un altro piano, dove ogni altra cosa – le loro colpe, i loro fallimenti e tutto il mondo schierato contro di loro – era diventata piccolissima. Dettagli. Da quelle altezze erano stati in grado di sfidare il mondo, infine. Ma senza di lui? Se non fosse tornato? Lei non lo sapeva, non riusciva a figurarselo. Senza di lui niente di tutto ciò aveva senso.

Il terzo ed ultimo ritratto immortala Giovanna d’Arco, in catene, condannata per eresia a bruciare sul rogo. La scrittura della Shorr si fa più ridondante, con lo scopo di rimarcare il conflitto che attanaglia Giovanna in quel luogo freddo della cella, dov’è tenuta in condizioni disumane. La giovane ed umile contadina che ha liberato Orleans dagli occupanti inglesi, vive il suo momento di fragilità vedendo vacillare la sua fede, avendo davanti a sé la scelta di rinnegare ciò in cui crede o di morirne. La narrazione si sposta sul piano temporale presente e quello passato, ed è Giovanna ad analizzare tutto quello che le era accaduto fino a quel giorno, il giorno della scelta. Se solo avesse avuto pazienza, non avrebbe commesso l’errore di spingersi troppo lontano. Se solo avesse avuto la pazienza di aspettare.

Ma Giovanna d’Arco non era paziente. Era coraggiosa e forte e audace, e agiva. Altri sarebbero stati pazienti. Le loro vite sarebbero state lunghe. La sua, corta.

Il conflitto interiore che attraversa Giovanna è comprensibile. La paura di morire, di diventare cenere, in un primo momento la porta ad abiurare. Però l’ora del destino non si può ingannare, arriva inesorabile, e dopo aver fatto i conti con se stessa, con l’altra se stessa, con la ragazza X, Giovanna è pronta ad affrontare con coraggio il fuoco, la morte.

Sarebbe andata spedita dove andavano coloro che morivano gloriosa ente. E allora sarebbe stata dove voleva essere, fra gli audaci. Il fatto che la settimana precedente fosse stata così spaventata rendeva la cosa ancora migliore.


Senza la paura non esisterebbe il coraggio. E il coraggio si presenta davanti a coloro che vogliono scegliere. Che scelgono.


Il romanzo mi ha coinvolta moltissimo, facendomi emozionare in diversi momenti salienti. Avrei voluto continuare a leggerlo ancora e ancora. Complice la mia predisposizione al genere, l’ho trovata una lettura scorrevole e piacevole, che consiglio caldamente.


ALLA PROSSIMA RECENSIONE