RECENSIONE: “L’ultima testimone” di Cristina Gregorin

Titolo: L’ultima testimone; Autrice: Cristina Gregorin; Casa editrice: Garzanti Libri; ISBN: 9788811812128; pp. 317, rilegato con sovraccoperta; € 17,00; Data di pubblicazione: 10 settembre 2020


TRAMA

UNA PAGINA POCO CONOSCIUTA DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE. UNA DONNA CHE FA DI TUTTO PER NON RICORDARE
«Cercate Francesca perché solo lei conosce la verità.»
Sono le ultime parole di un uomo anziano che sta morendo. Una frase semplice, ma capace di stravolgere la routine che la donna si è costruita con difficoltà negli anni. Una routine in cui non c’è spazio per il passato. Ma troppe domande attendono da tempo una risposta e ora la costringono a tornare a Trieste. In quella città, quando era solo una ragazzina, ha assistito a qualcosa che ha cercato con tutte le forze di dimenticare. Qualcosa che ha a che fare con gli amici di sua nonna, i loro misteriosi contatti e un passato oscuro legato a vicende della seconda guerra mondiale: soldati di opposte fazioni, delazioni, vendette in una città sospesa tra frontiere contese e destini incerti. Uomini che hanno combattuto nella Resistenza, cercando di fermare il nemico, con qualunque nome o divisa si presentasse, e hanno insegnato a Francesca a non fidarsi di nessuno. Ma combattere fino in fondo per i propri ideali significa fare scelte che cambiano il futuro. Scelte che hanno un prezzo. Scelte che portano con sé segreti, per i quali non dovrebbero esserci testimoni. Ora tutto ricade su Francesca. Perché qualcuno l’ha chiamata a ricordare. Perché la storia più sembra lontana più è a un passo.Per la sua opera d’esordio, Cristina Gregorin ha ricevuto la menzione speciale dalla giuria del Premio Calvino, uno dei più prestigiosi del panorama nazionale. Un romanzo conteso da tutti gli editori. Una narrazione intensa e avvincente che è uno spaccato di una pagina poco conosciuta della seconda guerra mondiale. Una storia sulla responsabilità personale, sul potere dei segreti e sull’importanza del passato per capire chi siamo veramente.

RECENSIONE

«Quelli erano stati anni in cui la sofferenza colpiva tutti, senza concedere a nessuno il tempo di piangerci sopra. E dopo si voleva solo dimenticare, si voleva tornare a ridere, a ballare, a sognare. Non tutti però guariscono dalla guerra, qualcuno da quell’incubo non ne esce più, può solo fare finta, accantonarlo, ecco. A volte, però, accade che quel che si credeva dimenticato riemerga e raggiunga anche chi quella volta ancora non c’era, come un’eredità non voluta.»

Noi, probabilmente, non potremo mai capire fino in fondo cosa abbia significato e comportato il dramma della guerra. Appartengo ad una generazione fortunata, che ha potuto godere di diritti conquistati con sacrificio, lotta, sofferenza, con il sangue versato da tanti, troppi esseri umani. E, spesso, non sappiamo nemmeno apprezzare ciò che abbiamo. Lo diamo per scontato e, facendolo, calpestiamo quelle vite che non hanno avuto il nostro stesso privilegio, non hanno potuto mai scegliere, se non da che parte stare. Studiamo gli accadimenti storici mediante i libri, qualche volta supportati da testimonianze rilasciate da persone che hanno attraversato quegli anni difficili e bui, a qualcuno è concesso di raccogliere frammenti di esperienza diretta con il racconto dei ricordi dei nonni o dei figli di quegli uomini e di quelle donne che hanno contezza di quanto accaduto. Chi più chi meno, ha in famiglia un componente che ha portato addosso gli orrori dei conflitti: il mio bisnonno ha combattuto nella prima guerra mondiale, il mio nonno materno si è trovato a dare la sua parte durante la seconda, in Jugoslavia, e riuscire a fargli raccontare anche solo una minima parte di quello cui ha assistito è sempre stato arduo. Non voleva ricordare. Non voleva riportare alla memoria, e di conseguenza al presente, tutto l’orrore di cui era stato testimone. Si è trincerato dietro un oblio imposto, ma non per questo meno doloroso e sono pochissimi gli aneddoti arrivati fino a me.


Ho colto subito delle somiglianze e delle familiarità nei protagonisti di questo romanzo, perché so quanto chi ha dovuto superare quegli anni sia stato cambiato per sempre dalle tragedie umane e personali che ha avuto ad un centimetro dal naso.

Ci sono storie che non vorremmo mai riportare a galla, soprattutto quando ci toccano da vicino. Ci sono ricordi a cui imponiamo di restare fuori dalla nostra coscienza, perché fa troppo male sentirli e toccarli, e ci sono verità che non possiamo respingere per tutta la vita, ci vengono lasciate in eredità nostro malgrado, e per quanto cerchiamo di andare lontano, riversare tutte le nostre energie nel lavoro, in una nuova esistenza, esse ci trovano, non lasciano scampo. Andare a rimestare nel passato di chi pensavamo di conoscere a fondo riserva quasi sempre delle sorprese, quasi mai piacevoli, perché la scoperta che ne deriva può far cadere in mille pezzi il castello di certezze che avevamo edificato intorno a quella figura, ed essere l’ultima testimone di un fatto sconvolgente è un fardello scomodo oltre che pesante da portare.

Siamo a Trieste. Mirko riceve come ultima richiesta, da parte di suo nonno Bruno Tommasi, ultra novantenne e in punto di morte, di cercare la verità che si nasconde dietro il suicidio di Vasco Cekic, non un semplice amico, ma un fratello. Mirko deve trovare una donna, Francesca Molin, perché è la sola a poter fare chiudere i conti con il passato, anche se quando Vasco morì, era solo una ragazzina. Dopo una iniziale reticenza, Mirko accetta di ripercorrere la vita di suo nonno, ritracciare la donna e mettersi in contatto con lei. Francesca è un medico, non è sposata, non ha figli e non vive più a Triste da molti anni. Ha da sempre evitato di stringere legami affettivi con gli altri, è una donna sola, chiusa in una fortezza emotiva per proteggersi dal resto del mondo. I suoi unici rapporti sono con la sua migliore amica di sempre e con sua nonna Alba, che vive ancora a Trieste, e che fu molto amica di Bruno e Vasco.

Non prende di buon grado l’intento di Mirko di cercare notizie su suo nonno Bruno, di voler ricostruire la sua vita e la morte di Vasco, si ritrae a lungo dall’aiutare quell’uomo, perché non vuole guardare indietro, non vuole ricordare, perché è da tutta la vita che cerca di seppellire quei ricordi. Ma per quanto possa provare a ritrarsi, le indagini e le ricerche porteranno Mirko a parlare con la nonna di Francesca, Alba, ritratta in alcune foto insieme a Bruno, Vasco e una donna misteriosa, e con altre persone legate agli avvenimenti della loro giovinezza, gli anni del secondo conflitto mondiale e gli anni successivi. Per Mirko non sarà facile venire a patti con un passato che mai avrebbe immaginato potesse aver vissuto suo nonno, di cui l’ultima testimone è stata Francesca Molin.

Il romanzo si muove tra passato e presente, offrendo una dettagliata ricostruzione storica di Trieste, città di confine contesa sia dall’Italia sia dalla ex Jugoslavia, sia di una pagina poco conosciuta della Seconda Guerra Mondiale. Analizza da vicino il tema della memoria, il tema dell’identità, il tema di una coscienza storica, i difficili rapporti tra comunità, le divisioni tra i triestini di lingua italiana e di lingua slovena, ad esempio, le ripercussioni del dopo annessione della città, troviamo un approfondimento su Istria e gli istriani, sullo smarrimento, il disorientamento conseguente, troviamo pagine dedicate a ricordare i quaranta giorni in cui i Titini imperversarono a Trieste, i numerosi rastrellamenti, le deportazioni, le foibe. Troviamo la Resistenza, i Partigiani, la Liberazione.
E troviamo la vita di uomini e donne che non sono riusciti a dimenticare, a guarire dalla guerra, persone tormentate, spezzate, incapaci di staccarsi dal loro ruolo e concedere perdono. Troviamo una donna che, suo malgrado, è stata testimone di un fatto sconvolgente, e troviamo un uomo che dovrà riappacificarsi con le sue certezze, capire che il passato ci dice chi siamo veramente, o quanto meno, ci dice che siamo anche quello.


Nonostante la storia sia indiscutibilmente interessante e meritevole di essere conosciuta, devo ammettere di aver faticato molto con la lettura, per lo stile prevalentemente, che ho trovato poco coinvolgente, spesso distaccato, manualistico. Ho preferito i tempi narrativi dedicati al passato, giudicando troppo prolissi quelli dedicati al presente, con un eccesso di contorno di cui, secondo me, si poteva fare a meno, rendendo più fluida e rapida la lettura. Avevo alte aspettative, perché dalla trama ero sicura che le pagine mi avrebbero rapita completamente, purtroppo così non è stato. Non ho avvertito calore né presenza, un vero peccato.

Se qualcuno di voi, lettori, lo ha già letto, mi può scrivere così ne parliamo insieme.


Ringrazio l’ufficio stampa per la copia del romanzo.