RECENSIONE: “Non sono stato io”, di Daniele Derossi (Marsilio)

Cari lettori e care lettrici de La Parola ai Libri,
oggi parliamo di un romanzo edito da Marsilio, dal titolo Non sono stato io di Daniele Derossi.
La proposta di lettura da parte dell’autore mi ha entusiasmata perché,
leggendo la trama, non ho potuto non provare curiosità per questa storia.
Di seguito, come di consueto, la scheda tecnica, la trama e la mia opinione.


SCHEDA TECNICA

Titolo: Non sono stato io
Autore: Daniele Derossi
Casa editrice: Marsilio
Anno di pubblicazione: 2019
Prezzo: € 16,00
ISBN: 978-88-317-8899-1
Pagine: 231


TRAMA

 Ada, dopo la separazione dallo scienziato pachistano Bashir, lascia Londra e torna con Giacomo, suo figlio, a Serana, il paese dell’Alta Val di Susa in cui è nata. Giacomo ha otto anni, sa molte cose sugli animali e sul mondo, ma nella nuova scuola non ha amici. Tranne uno, Robi, un misterioso bambino – come pure se ne trovano in provincia – dai capelli rossi e dai giochi micidiali. Ada cerca di rifarsi una vita, ma Serana è un paese piccolo, gli abitanti sono pochi e si conoscono tutti. Così, mentre gli adulti sono impegnati a spettegolare di amanti e politica, Giacomo e il suo amico Robi si addentrano sempre più tra i boschi, fino alle rovine del castello appartenuto a un antico negromante: prima di loro, nessuno aveva mai ritrovato la porta dei sotterranei, dove si cela la minaccia che da secoli tiene sospeso il fiato degli abitanti della valle. Daniele Derossi racconta una storia avvincente e tenera, con una scrittura seria e divertente che ha il dono raro della semplicità.


RECENSIONE

R.: <<Sei mai stato al castello?>>
G.: <<Quando ero piccolo abbiamo fatto un picnic con mamma e papà?>>
R.: <<Ci andiamo a giocare?>>
G.: <<E’ lontano… Fa caldo, la strada è tutta al sole…>>
R.: <<Sei un pappamolle! Io ci arrivo di corsa senza fermarmi!>>

Una trama dalla quale mi sono lasciata ammaliare, catturare in una rete che ti fa trattenere il respiro, dapprima lentamente, poi sempre più rapidamente, fino a lasciartene privo. Difatti, ho letto il romanzo tutto d’un fiato, e credo che sia uno di quei libri che non possano che essere letti che così, senza posarlo fino a che non si arriva alla conclusione. Non sono stato io mescola tensione, suspense, presagi, scatenando una reazione a catena nel nostro interiore, risvolti su cui non si può non riflettere perché stuzzicano coscienza, emotività e spirito analitico.

Il narratore si rivolge direttamente alla protagonista, Ada, una scelta che se in un primo momento può quasi disorientare, arriva ad essere non solo efficace, ma può essere considerata come ulteriore elemento di coinvolgimento nella lettura, perché la seconda persona singolare induce a farci sentire, quasi, come la persona cui si sta rivolgendo il narratore, una voce che ti sta mostrando un riflesso nello specchio, ti incalza, ti insegue, ti costringe a fare i conti con tutto ciò che accade.

Ada è una donna che deve ricominciare, che ancora non conosce la strada per poterlo fare, vittima delle ferite di una vita che le ha tolto molto, più di quanto ci si possa aspettare, inseguita dai sensi di colpa che la rendono incapace di comprendere pienamente quanto il dolore che porta addosso, non sia una sua sola prerogativa, ma che questo ha avviluppato anche suo figlio, Giacomo, di otto anni, comprensibilmente non in grado di esternarlo, capirlo, elaborarlo, gestirlo.

La giovane donna si separa da suo marito, con il quale viveva a Londra, e fa ritorno con il bambino nel suo paese natio, Serana, in Alta Val di Susa, un luogo piccolo, in cui si evidenzia una mentalità chiusa, ristretta, radicata al pregiudizio, al giudizio, al pettegolezzo, un luogo in cui è impossibile non essere oggetto di occhiate curiose ed invadenti. Ricominciare in un ambiente di questo tipo si dimostra davvero difficoltoso, nonostante Ada ritrovi vecchi amici e anche sua madre, con la quale, tuttavia, non ha un vero e proprio rapporto, ma diversi nodi da sciogliere. Senza rendersene conto, finisce per focalizzarsi su stessa e su ciò che prova, andando quasi alla cieca, a tentoni, per scovare una via di uscita, attraverso diversivi poco edificanti e distrazioni discutibili, trascurando e prestando poca attenzione a suo figlio.

Giacomo, dal canto suo, vive con difficoltà il doversi ambientare alla nuova realtà, sentirsi a casa, non riesce a farsi nuovi amici, ad inserirsi o provare simpatia per nessuno dei suoi compagni, fatta eccezione per Robi. Non è in classe con lui, non conosce il suo cognome, ma è il solo con il quale trascorre il suo tempo. Un bambino dai capelli rossi, che propone giochi sempre più audaci e pericolosi a Giacomo, esortando quest’ultimo a non essere una femminuccia, ad osare, trasgredire, spingersi sempre più oltre, fino ad arrivare in un luogo dove da anni non si reca più nessuno, perché oggetto di forte superstizione e di misteriose sparizioni, il castello nel bosco, e i suoi sotterranei.

Ma che giochi sono? No, non gioco con te.
Hai paura?
Certo.

Per la parte relativa a Giacomo è stata scelta la forma del dialogo, i capitoli, spesso alternano quindi questo doppio schema. Il dialogo diretto tra lui e Robi, ci assorbe, ci rende inquieti, conferiscono al libro, insieme a capitoli brevi e scorrevoli, un flusso sempre più avvolgente in cui scorrere. Tutti questi elementi ci portano a leggere con voracità, spinti da timore e curiosità insieme, angoscia e coinvolgimento, costretti a dirigerci verso il finale per sviscerare ciò che nel nostro animo, quasi era diventata una premonizione, un presentimento, uno scenario, un campanello d’allarme che rintocca dapprima in lontananza, per poi farsi gradatamente più vicino, sempre più vicino, fino all’esplosione finale, a cui noi assistiamo per tempo, ma che Ada proprio non percepisce.

Un ritmo, senza dubbio, incalzante, che fa battere il cuore a più riprese. E’ possibile riprendere fiato solo quando si gira l’ultima pagina.

Questo romanzo mi ha indotto a riflettere molto su tematiche talvolta malamente trascurate, come i sentimenti e le emozioni di disagio dei bambini, spesso inespressi, latenti, e proprio per questo rischiosi, perché sottovalutati. Gli adulti non prestano la dovuta attenzione né la necessaria tempistica di intervento riguardo alle situazioni che causano traumi e possibile depressione nei bambini, come se solo noi adulti, in quanto “maturi”, fossimo in grado di soffrirne. Purtroppo, proprio come una lama, traumi e loro conseguenze, fendono e colpiscono a tutte le età, ed è vero che non è sempre facile riuscire a fare luce su ciò, non è semplice rendersene conto, perché operano subdolamente, manifestandosi sovente in comportamenti silenti e camuffati. Ma i segnali, seppure quasi invisibili, ci sono, si possono percepire ed individuare, permettendoci di intervenire e risolverli. Non voglio in alcun modo fare discorsi semplicistici, mi rendo conto della delicatezza del tema, e che un genitore, a volte, è portato all’errore perché vittima a sua volta di dolore, e il dolore rende egoisti e ciechi il più delle volte.

E’ una mia personale riflessione, non dico che le intenzioni dell’autore siano quelle di rimarcare questo aspetto. Il romanzo, mi ha portato a pensarci molto intensamente.

Non sono stato io è un romanzo ben strutturato, ben scritto, promette e mantiene una buona dose di brividi, fiato corto, sospetti, ripensamenti, rivelazioni; smuove l’anima del lettore, lo porta a prendere coscienza e posizione circa le varie situazioni che si districano tra le pagine, lo inducono a ricercare un senso alle azioni ambigue dei personaggi e alle loro inevitabili conseguenze. 230 pagine che si leggono in un soffio, che ci fanno valutare diversi tipi di rapporti, come quello madre-figlio, madre-figlia, ma anche i rapporti umani più in generale, mettono in luce la contrapposizione tra ansie e preoccupazioni degli adulti, dovute a relazioni finite, fallimenti personali, eventi traumatici, difficoltà a riorganizzare la propria vita immaginando un futuro, ect, e lo stress e gli eventi traumatici che può subire un bambino, che li vive con angoscia e complessità, perché non in grado di dare voce a ciò che prova, perché non può comprendere a pieno il suo sentire.


Sono grata a Daniele Derossi per avermi proposto questa lettura, affidandomi il suo romanzo e accettando di incorrere in altrui giudizio. Gli sono riconoscente perché il libro mi ha molto toccata, e non lo scorderò per lungo, lunghissimo tempo.


Fatemi sapere, lettori e lettrici, se lo leggerete e cosa ne pensate. Come di consueto, aspetterò i vostri messaggi e commenti!


ALLA PROSSIMA RECENSIONE