RECENSIONE: “Per chi è la notte”, di Aldo Simeone (Fazi Editore)

Esce oggi in libreria per Fazi Editore,
un romanzo di esordio che, secondo me, farà molto parlare di sé.
Si tratta di “Per chi è la notte” di Aldo Simeone.

Vi propongo la mia recensione.


SCHEDA TECNICA

Autore: Aldo Simeone Titolo: Per chi è la notte Collana: Le strade Numero Collana: 401 Pagine: 284 Codice isbn: 9788893254687 Prezzo in libreria: € 16 Data Pubblicazione: 05-09-2019

TRAMA

Mentre la seconda guerra mondiale si avvia verso la fase più cruenta, tra i monti della Garfagnana c’è un paese che sembra rimasto escluso dalla Storia e in cui la vita è scandita da antiche leggende. Per gli abitanti di Bosconero è più forte il divieto di entrare nel bosco del timore della guerra e delle terribili notizie che arrivano dal fronte. In paese si racconta che tra gli alberi si nascondano inquietanti creature: gli streghi, spiriti che, dopo il tramonto, si aggirano con un cero in mano, il loro indice che arde e non si consuma, in un’infinita processione. Chi sono? Qual è la risposta alla loro oscura domanda: «Per chi è la notte?». Francesco, di undici anni, vive con la madre, malinconica e distaccata, e con la nonna che nutre le sue fantasie con i racconti popolari. Il ragazzino non ha amici e vive isolato perché, secondo le dicerie paesane, è figlio di un disertore. Ma quel marchio infame non è la sua unica vergogna. Ancora più inconfessabile è il richiamo del bosco, nonostante la paura di ciò che in esso si annida. All’arrivo dei nazisti, e dopo l’apparizione di strane luci nel fitto degli alberi, sarà Tommaso, un ragazzino dagli occhi verdi e dai capelli rossi, giunto misteriosamente da solo in fuga dalla città, a convincere Francesco a violare quell’estremo confine, oltre il quale bisogna scegliere da che parte stare.
Un esordio nitido e visionario che guarda al dramma della Storia con gli occhi candidi e coraggiosi di un bambino. Un romanzo di formazione dallo stile evocativo, suggestivo come il paesaggio magico e incantato dei monti della Garfagnana. Un racconto, tenero e straziante, sulla fine dell’infanzia.


RECENSIONE

Mi capitava, talvolta: immaginavo così intensamente una cosa, che poi facevo fatica a capire se era vera o fantastica. Ma succedeva anche il contrario: per prendere le distanze da certi ricordi che mi mettevano soggezione, che mi spaventavano, o mi facevano vergognare, li spingevo lontano nell’incertezza dei sogni.

Lasciarsi prendere per mano dal giovane protagonista di questo romanzo e accettare di vedere la storia attraverso i suoi occhi, ha fatto sì che riuscissi a calarmi perfettamente nella lettura, di comprendere la sua percezione del mondo e degli accadimenti, di arrivare a conoscere fin nel profondo l’animo di questo ragazzino.

1943, la seconda guerra mondiale è in pieno e tragico svolgimento e si sta avvicinando alla fase più cruenta, con l’occupazione tedesca. Siamo in un paesino di nome Bosconero, tra i monti della Garfagnana, in cui è fortemente radicata la fede alle credenze, alle leggende e ai miti popolari. Le notizie dal fronte scarseggiano, così come il cibo. La scuola è stata chiusa, vige l’ora del silenzio nel pomeriggio e il coprifuoco la sera (rincasare dopo il tramonto comportava il rischio di incontrare il demonio, dicevano), il tempo sembra non passare mai, non c’è nulla da fare, soprattutto per quelli come Francesco (undici anni), che non ha amici, è preso di mira e viene escluso dai suoi coetanei  perché figlio di un disertore, di un traditore, di un uomo che è sparito senza lasciare traccia, dandosi alla macchia per non andare a combattere come tutti gli altri uomini del luogo, e di cui non può parlare con sua madre, che elude le sue domande e si mostra distaccata ed incapace di dimostrare comprensione ed affetto verso suo figlio. La nonna, con la quale vive insieme alla mamma, giorno dopo giorno, alimenta il suo immaginario di fantasia con storie di paura e superstizioni, che come detto prima, sono accolte come un vero e proprio credo.

Esiste un posto proibito, dove vive Francesco, un luogo cui non si poteva né doveva neppure pensare: il bosco.

Io ci pensavo invece. E questa curiosità, questo impulso di violare il confine (lo capii molto più tardi) era la colpa che portavo fin dalla nascita. Non era lo stesso desiderio degli altri ragazzi che giocavano ad avvicinarsi ai pozzi: la voglia di crescere e trasgredire, di onorare la paura mettendone alla prova il morso. No. Era una questione di sangue. Così il bosco venne lui a cercarmi, e aveva labbra sottili e occhi verdi per convincermi a dargli la mano.

E’ risaputo da tutti, a Bosconero, che tra gli alberi, dopo il tramonto, si aggirino misteriose figure, gli streghi, che camminano in processione tenendo un cero in mano. Se incontrano qualcuno gli chiedono: “Per chi è la notte?”, ma nessuno sembra conoscere la risposta, così come nessuno pare sappia sapere chi siano. Dicono anche che gli streghi ti prendano con loro, per riaccompagnarti a casa, ma che ciò non avvenga, perché il bosco non ti lascia uscire, perché dal bosco, di notte, nessuno esce, ti tiene con sé, e si diventa streghi a propria volta. Francesco è convinto che suo padre sia lì, da qualche parte tra gli alberi, che lo abbiano preso gli streghi.

Nonostante la paura, l’attrazione per il luogo proibito è forte, più forte. Francesco, pur avendo il cuore in gola, rallenta il passo, cercando le luci nel fitto del bosco. Ma mai avrebbe pensato di violare il confine e saltare il fosso per addentrarvisi. Mai.

Un giorno incontra un misterioso ragazzo, suo coetaneo, dagli occhi verdi e i capelli rossi, di nome Tommaso, scappato dalla città dove la guerra non veniva solo sentita, ma guardata negli occhi, che pare sia stato accolto da quel chiacchierato Don Dante, il prete del paese, mal visto e osservato soprattutto dai sostenitori del fascismo, a cui era giunta voce che fosse comunista, che desse ospitalità agli ebrei e che aiutasse i partigiani.

Con Tommaso, Francesco non solo stringe un vero e proprio patto di sangue, ma inizia a spostare il proprio punto di vista, a vedere le cose attorno a lui secondo un altro parametro, quello del confronto e, soprattutto, decide di affrontare la paura e violare il confine, saltare il fosso, entrare nel bosco per scoprire

Chi era in pericolo? Chi era il pericolo?

Inizia una graduale ricerca della verità, la messa in discussione di tutte le storie e leggende che gli sono state sempre raccontate. Francesco comincia a chiedersi cosa sia vero, cosa sia reale, cosa esista realmente, chi siano i buoni e chi i cattivi. Chi sono gli streghi? Gli streghi esistono? E i partigiani, sono loro i cattivi? Da quale parte stare?

Passai in rassegna i divieti infranti da quando avevo conosciuto Tommaso, e i pericoli a cui mi ero esposto. Ma erano veri pericoli? Una parte di me iniziava a dubitarne. Ed era una parte triste. Adulta e triste. (…)
Fu allora che smisi di essere un bambino e iniziai a crescere: ad avere coscienza del tempo che passa, del tempo che fa. E solo a partire da allora il tempo iniziò davvero a passare.


Questo libro mi è piaciuto moltissimo.

Stento ancora a credere che si tratti di un esordio, lo confesso, per la maturità di scrittura dimostrata, priva di sbavature, punti morti, incertezze stilistiche, e per la tenuta dell’intero romanzo, che non cede mai, per tutto l’arco della narrazione: una penna sicura, suggestiva, articolata, onirica, che non rimane sulla superficie delle cose, ma scava a fondo, portando il lettore a farsi interprete, di personaggi, sentimenti, luoghi, percezioni. Romanzo storico-onirico-di formazione, a caldo l’ho definito così. Le pagine scorrono molto rapidamente, incalzano e coinvolgono. Gli elementi che questo romanzo si propone di affrontare, come ad esempio la paura dell’ignoto, la percezione del reale e del vero, si presentano egregiamente nello sviluppo della storia.

E’ stato del tutto impossibile mantenere un rapporto distaccato con il protagonista del romanzo: ho sentito tutto il peso della sua solitudine, del suo sentirsi escluso, del suo smarrimento quando si trovava ad un bivio e doveva scegliere la strada da seguire, la delusione per gli abbracci mancati della madre, per uno sguardo negato, per una infanzia e adolescenza negate, perché la guerra e le sue conseguenze impongono ai bambini di crescere in fretta, troppo in fretta. Allo stesso modo, mi sono emozionata quando ha trovato un amico con cui stringere un patto di sangue, con cui giocare e non sentirsi più solo, a scoprire di avere un coraggio che, forse, non pensava di possedere, con cui affrontare i demoni, perché in due, fanno meno paura.

“E te come fai, invece?”.
“Per cosa?”.
“Per non avere paura”.
“Chi ti ha detto che non ho paura?”.
Allargai le braccia a mostrargli il bosco.
“Ci sono altre cose che mi fanno paura”.
“Per esempio?”
“La gente. Non gli streghi o i fantasmi; la gente vera. E’ cattiva”.


 Una storia di coraggio, di crescita e formazione, di speranza e memoria.
Una storia da non perdere.