Recensione: “La sposa italiana” di Adriana Trigiani – tre60

Cari lettori e care lettrici de La Parola ai Libri,
oggi vi propongo la mia recensione de “La sposa italiana” di Adriana Trigiani, edito da tre60, pubblicato lo scorso 21 giugno e che mi è piaciuto non molto, ma moltissimo. Un romanzo davvero degno di nota, che porterò nel cuore a lungo per le emozioni che ha saputo suscitarmi, insieme alle reazioni più disparate durante la lettura. Un libro che è stato come un abbraccio inaspettato, una carezza delicata e, insieme, una scossa prorompente di immagini e parole. Ma andiamo per ordine, segue la scheda tecnica con la trama e poi la mia recensione completa!



 Adriana Trigiani  – La sposa italiana

Titolo originale: The Shoemaker’s Wife
Traduzione: Roberta Zuppet
Pagine: 528
Prezzo cartaceo: 18,60 €
Prezzo eBook: 7,99 €
Editore: tre60
EAN: 9788867024568
ISBN: 8867024566

UN AFFASCINANTE RITRATTO DEGLI EMIGRATI ITALIANI ALL’INIZIO DEL XX SECOLO

In corso di pubblicazione in 18 Paesi

Per mesi ai vertici della classifica del New York Times


Ho lavorato a La sposa italiana per vent’anni. Questo romanzo è stato per lungo tempo un buon amico, perché amo il periodo storico, gli eventi e le dolci note della storia d’amore dei miei nonni.
(Adriana Trigiani)


TRAMA

Bergamo, 1910. C’è tutta la gioia del primo amore nel legame che unisce Enza e Ciro: bellissima e volitiva lei, energico e riflessivo lui, già immaginano la loro vita insieme, a onta delle difficoltà concrete, quotidiane, del loro villaggio tra i monti. Ma il destino ha deciso diversamente: Ciro scopre un segreto troppo grande per il suo animo semplice e viene costretto ad andarsene lontano, addirittura al di là dell’oceano. Finirà per lavorare come apprendista nella bottega di un calzolaio a New York, a Little Italy. E in quel mondo nuovo, frenetico e pieno di possibilità, il pensiero di Enza pare sempre più lontano, sempre più sfumato…
È la povertà che spinge la famiglia di Enza a compiere lo stesso viaggio verso l’America. Ferita dall’abbandono di Ciro, la ragazza si dedica anima e corpo al suo lavoro di ricamatrice e, ben presto, inizia a lavorare al Metropolitan, dove realizza abiti lussuosi per le star dell’opera lirica. Ed è lì che incontra un ricco e affascinante americano, deciso a farle dimenticare quell’amore che appartiene a un altro tempo e a un altro continente…
Non sapendo di vivere nella stessa città, Enza e Ciro s’incamminano su strade sempre più divergenti: il successo negli affari per lui e la promessa di una vita agiata per lei. Il passato è dimenticato, il presente è sereno, il futuro sembra tracciato.
Poi, un giorno, Enza e Ciro si incontrano di nuovo.
E tutto cambia.


RECENSIONE

Ho desiderato questo libro appena i miei occhi hanno incontrato la copertina. Ho sentito istantaneamente che sarebbe stata per me una lettura piacevole e che mi avrebbe coinvolta. Ma, lettori, devo dirlo, questo romanzo ha superato di gran lunga le mie aspettative, sotto diversi punti di vista. Perché sì, leggendo la trama ho pensato potesse essere nelle mie corde e che la storia di due italiani costretti, per ragioni diverse, a lasciare gli affetti e il Paese per costruirsi un avvenire in America, fosse interessante da approfondire. Ciò che ignoravo è che mi avrebbe coinvolta fino al punto di commuovermi, a trattenere il respiro, a gioire e soffrire con i protagonisti, ignoravo quanto sarei stata partecipe di tutte le vicende. Quando ho voltato l’ultima pagina, ecco, proprio in quel momento mi sono accorta che stavo trattenendo il respiro, con il cuore in gola, grata all’autrice di aver scritto un romanzo così straordinario. Non manca nulla in questo libro, ogni dettaglio è stato curato e mai lasciato al caso. Tante le tematiche affrontate, incisive e profonde. E sono d’accordo con il New York Times: “Adriana Trigiani scrive con il cuore”.

Il romanzo si apre in Italia, in un paesino vicino Bergamo, Vilminore, e siamo all’inizio del secolo scorso, 1905. Una donna, Caterina Lazzari, trovandosi vedova e in ristrettezze economiche, lascia i suoi due figli, Ciro ed Edoardo, in custodia dalle suore, nel convento di San Nicola, con la promessa di tornare a riprenderli dopo qualche mese. Ciro ha dieci anni e suo fratello è di poco più grande, e fin dalle prime righe, Ciro ci viene descritto in tutta la sua intraprendenza e vivacità, al contrario di Edoardo, molto più pacato e introverso.  Già provato per la perdita di suo padre, Carlo Lazzari, a cui lui somiglia moltissimo, una perdita che non accetta e a cui non crede non essendoci un corpo su cui poter piangere, per Ciro la decisione di sua madre è un secondo abbandono, una ferita che non smetterà mai di pulsare e far male,

Vide unicamente la decisione della madre di andarsene, di abbandonarlo lì come una sedia rotta sul ciglio della strada, in attesa del robivecchi (…) Ciro gonfiò il petto quando sua madre scomparve. Avrebbe voluto aprire la bocca e chiamarla, ma a cosa sarebbe servito? Non conosceva ancora la differenza tra rabbia e tristezza.

Ciro ed Edoardo crescono in convento, ricevendo una buona educazione ed istruzione. Se il maggiore è dedito allo studio e a quel che concerne un lavoro più intellettuale e teologico, Ciro è un instacabile aiutante materiale, indispensabile e sempre pronto a occuparsi delle commissioni anche prima che queste gli siano richieste. Con il passare degli anni, imparano a non fidarsi delle promesse e a convivere con la consapevolezza, amarissima, che la loro mamma non sarebbe tornata a riprenderli. Questo, soprattutto in Ciro, sarà sempre un nervo scoperto,

Aveva nostalgia di sua madre. Aveva imparato che il dolore dell’abbandono era latente, da un momento all’altro, quando meno se l’aspettava, la vista di un bambino che aveva più o meno la sua età quando Caterina l’aveva lasciato al convento riapriva la vecchia ferita, trafiggendo la sua anima fragile.

Parallelamente alla storia tracciata di Ciro, vi è quella di Enza, sua coetanea, che vive in cima alla montagna, a Schilpario, maggiore di sei tra fratelli e sorelle, dai lunghi capelli castani e molto più matura della sua età.

La figlia maggiore di una famiglia numerosa non ha mai una vera infanzia.

La sua è una vita felice, ma impegnativa. Di certo non ha la spensieratezza di una ragazzina, ma è felice perché il legame con i suoi familiari è talmente forte e profondo da valicare ogni difficoltà quotidiana. E di difficoltà non ve ne erano poche, come si può immaginare. Ma lei, a dieci anni, sapeva fare qualsiasi cosa, come una donna adulta, cucinava, badava ai fratelli e alle sorelle, raccoglieva frutti, aiutava nella stalla il padre ed era indispensabile per sua madre, con un talento particolarmente spiccato per il cucito. Nel poco tempo libero che aveva, difatto cuciva. Gli indumenti per sè e per i suoi familiari li confezionava lei stessa. Una famiglia povera, ma unita e ricca di un affetto inestimabile.

Ecco che, già dalla prima parte della storia, sono evidenti le tematiche e gli elementi che attraverseranno poi anche il resto della narrazione: i sentimenti e i valori solidi, la famiglia e la potenza degli affetti, ma anche la loro drammatica assenza, la caparbietà dei protagonisti, il loro spirito di sacrificio, le loro fragilità che saranno motivo di spinta verso altro, verso una conquista, verso un diritto e desiderio di riscatto e realizzazione di loro stessi. Tutta la narrazione è impregnata di veridicità. Mi sono sentita gli occhi di ciascun personaggio, Adriana Trigiani è riuscita a caratterizzarli in modo magistrale, tanto da farmi figurare ogni accadimento come se io fossi stata lì, con loro. Voglio sottolinearlo questo aspetto, per nulla scontato: eccellente caratterizzazione dei personaggi. Sicuramente, l’essersi ispirata alla storia vera della famiglia di sua madre, ai ricordi dei suoi nonni, emigrati italiani in America che si conoscono per caso a Hoboken, nel New Jersey, quindi avendo tra le mani frammenti biografici cui attingere, ha fatto la sua parte. Ma il talento di imprimire su carta con una potenza narrativa che arriva al lettore in modo cristallino, è tutto da attribuire alla scrittrice.

Ciro ed Enza si incontrano in circostanze poco liete, ma quel momento sarà un punto di svolta nelle loro vite, anche se ancora non ne sono consapevoli. Sono entrambi adolescenti, entrambi segnati da un trascorso importante. Scoprono di riuscire a liberare pensieri custoditi solo nel loro animo, l’uno con l’altra, forse per la prima volta. Ciro si sorprende nel sentire con quanta naturalezza riesce a conversare con Enza, e poi la familiarità della loro vicinanza, come se si fossero sempre appartenuti.

Aveva qualcosa che lui non aveva mai visto in nessuna ragazza: era curiosa e attenta. Assorbiva i dettagli del mondo circostante, sensibile ai sentimenti degli altri e rapida a reagirvi (…) Con lei non c’erano momenti di imbarazzo; parevano aver instaurato un legame immediato e confidenziale.

Enza, sente fin da subito che Ciro ha un cuore buono, che riesce a comprenderlo al volo, che di lui può fidarsi. Sono pagine ricche di coinvolgimento, queste. E ne seguiranno molte altre. Il primo incontro viene battezzato con un bacio, un bacio che unisce, oltre ai loro respiri e ai battiti del loro cuore, un destino aperto a una possibilità di luce, dopo tanta tristezza e oscurità.

Lei l’aveva ascoltato, e quello era un dono più dolce di qualunque bacio.

 Si salutano con la promessa di rivedersi, promessa che purtroppo non sarà mantenuta. Infatti, Ciro, la cui colpa è quella di assistere ad una scena che non avrebbe dovuto vedere, e d’indole onesta e sincera, incapace di non denunciare le ingiustizie, è costretto a lasciare l’Italia e imbarcarsi per l’America, per evitare il riformatorio. Le strade di Ciro ed Enza si separano irrimediabilmente, e attraversiamo con particolare commozione il momento della traversata, in una cabina piccolissima e senza finestre, e in cui le divisioni tra le classi sociali sono uno schiaffo sordo e beffardo.

Gli europei facoltosi indossavano splendidi vestiti di lino color pastello e di seta chiara, ed erano seguiti da cameriere e facchini che portavano i bagagli.

Per Ciro, la sua nuova vita, inizia proprio sulla nave, dove, con stupore, osserva gli altri passeggeri, persone di cui aveva soltanto letto nei libri, tanti italiani come lui, ma anche tanti stranieri.
E poi, Ellis Island, dove Ciro e gli altri aspiranti cittadini americani, mettono piede per esibire i documenti, per essere visitati, per essere registrati, accertando le generalità, la destinazione, riferimenti a persone presenti nel Paese.

A bordo della nave avevano consigliato loro di non uscire mai dalla fila a Ellis Island e di attirare l’attenzione il meno possibile. Mai litigare. Mai spingere o strattonare. Tenere la testa e la voce basse. Accettare tutte le condizioni e obbedire a tutte le richieste. Lo scopo era superare i controlli senza intoppi. L’ufficio immigrazione trovava mille pretesti per respingerti, da un colpo di tosse secca a una risposta sospetta riguardo alla tua destinazione definitiva.

Poi Manhattan, Little Italy, un lavoro come apprendista calzolaio in un negozio italiano, nuove amicizie, nuove avventure. Una nuova vita. Le divisioni sociali sempre ben delineate e marcate, lo sguardo di Ciro che è per noi una fotografia della realtà.

I poveri di Little Italy erano diversi da quelli che conosceva Ciro. Sulla montagna indossavano vestiti di tessuti resistenti. Il loro velluto era la lana cotta; bottoni e rifiniture erano un lusso riservato agli indumenti che si usavano nei giorni di festa, ai matrimoni e ai funerali. Gli italiani di New York, utilizzavano le stesse stoffe, ma con l’aggiunta di cappelli sbarazzini, fibbie dorate e bottoni luccicanti (…)
A Little Italy, ognuno si comportava come se avesse diritto a un trattamento migliore. Ciro era entrato nel circo; lo spettacolo era italiano, ma il tendone americano.

E mentre Ciro si fa largo in questa nuova esistenza, Enza, sulle montagne, sta decidendo di intraprendere, incosapevolmente, lo stesso viaggio. Per le ingenti difficoltà economiche della famiglia,  sceglie di inseguire il sogno americano, sicura che quel Paese, l’America, avrebbe potuto consentire un avvenire migliore a lei e ai suoi familiari soprattutto. E, infatti, tenendo duro, non arrendendosi alle angherie e ai problemi, Enza riuscirà a diventare una sarta affermata, lavorando al Metropolitan Opera House e arrivando a conoscere Enrico Caruso, star dell’epoca.
Ciro ed Enza si troveranno nella stessa città, senza saperlo, fino a quando, il destino, li farà incontrare di nuovo e nulla sarà più come prima. La narrazione scorre fitta, emanando una inguaribile nostalgia per il paese natio, speranza per un futuro incerto, ma tutto da costruire, difficoltà insormontabili e quotidiane, ingiustizie, giorni tristi, giorni felici,  sacrifici e duro lavoro. Le loro strade continueranno a correre parallelamente e quando sembra stiano per congiungersi, ecco che un nuovo ostacolo fa saltare ogni previsione di ricongiungimento. Non si perde per un istante il senso di appartenenza e l’indissolubile elemento delle radici, gioiamo dei successi dei protagonisti quando, dopo impegno, raggiungono un obiettivo. Continuiamo a sognare la concretizzazione di un amore quasi impossibile, ci vien voglia di dire ai protagonisti: “Forza, aprite il vostro cuore!”. Ma Ciro sembra voler sempre mancare alle promesse, Enza vive una nuova relazione, il tutto mentre si affaccia la Grande Guerra, e Ciro stesso si arruola per ottenere la cittadinanza americana. Quando tutto appare concluso, un nuovo inizio si affaccia al capitolo successivo, catturando il lettore in un vortice di colpi di scena, fino all’ultima pagina.

Proprio così, fino all’ultima pagina.

Senza ombra di dubbio è stata tra le letture più belle, coinvolgenti, emozionanti di quest’anno e lo consiglio vivamente. Ho apprezzato il fatto che la storia inizi con i protagonisti bambini, potendone seguire l’evoluzione e potendo scoprire con quale bagaglio interiore arrivino ad affrontare il domani e la vita in generale, una strada percorsa da insidie e colma di rinunce, ma anche da conquiste e sogni realizzati, di amicizie indispensabili e preziose, colpi di scena, sorprese inaspettate e in ultimo, ma non certo per importanza, una fedele, attenta e minuziosa ricostruzione storica. La descrizione impeccabile del contesto, dell’ambiente e degli ambienti, fanno da cornice ad una narrazione che fregia di merito, onore e menzione gli emigranti italiani costretti a partire insieme alla loro povertà dall’altra parte dell’oceano. Con una scrittura fluida, scorrevole e piacevole, una trama travolgente e che tiene incollati fino all’ultima pagina, non potete perdervi per nulla al mondo questa storia.

Quanto mi mancava una lettura così intensa! La porterò con me, per molto, molto tempo!


Ma, siamo sinceri, esiste davvero il caso? O è il destino a decidere il luogo, il tempo e l’opportunità?


ADRIANA TRIGIANI

Autrice, sceneggiatrice, regista e produttrice. Nata in Virginia da una famiglia di origini italiane, ha studiato Teatro al Saint Mary’s College di Notre Dame, in Indiana. Ha scritto opere teatrali e sceneggiature per il cinema. Ha anche diretto il film I segreti di Big Stone Gap, tratto da un suo romanzo, con Whoopi Goldberg e Ashley Judd. Ma sono stati i suoi romanzi tradotti in tutto il mondo, a darle un’enorme popolarità: La sposa italiana, in particolare, è stato un best seller del New York Times ed è stato definito da Usa Today il suo miglior romanzo. Forse anche perché direttamente ispirato alle vicende dei nonni dell’autrice, entrambi emigranti dall’Italia.