RECENSIONE: “Tornare a casa”, di Dörte Hansen (Fazi Editore)

Titolo: Tornare a casa; Autrice: Dörte Hansen; Traduzione: Teresa Ciuffolotti; Casa editrice: Fazi Editore; ISBN: 9788893255912; pp. 310; Prezzo € 18,50; Data di pubblicazione: 25 giugno 2020.


TRAMA

Quando un bambino nasce in un paesino di provincia dove di bellezza non c’è neanche l’ombra, è figlio di una ragazzina affetta da ritardo mentale e fin da piccolissimo viene messo in piedi su una cassa a spillare birra al bancone di una locanda, il fatto che da adolescente frequenti il liceo è piuttosto sorprendente; se poi diventa un professore universitario e decide di lasciarsi tutto alle spalle, l’evento è più unico che raro, e in paese c’è chi lo vive come un tradimento. Nel momento in cui, alla soglia dei cinquant’anni, l’uomo fugge da una vita accademica insoddisfacente e da un’ambigua convivenza a tre in un appartamento in cui non si diventa mai adulti per tornare a casa e prendersi cura dei nonni – Sönke, l’oste arroccato nella sua locanda semiabbandonata, ed Ella, che la vecchiaia ha reso capricciosa e imprevedibile –, due realtà apparentemente inconciliabili si scontrano, dando vita a una crepa profonda dalla quale tutto torna a galla. Il ritorno a Brinkebüll diventa così un’occasione per riscoprirsi e reinventarsi: ci sono conti da saldare, ruoli da invertire e tante tappe da rivisitare prima di muovere il primo passo verso il cambiamento. Il contrasto fra due mondi, il nostro passato e il nostro presente, le famiglie da cui proveniamo e quelle che ci siamo scelti, è la sostanza da cui germoglia questo romanzo meraviglioso, che racconta l’evoluzione di un paesino e i destini individuali dei suoi abitanti con dolcezza, ironia sottile e una vena di malinconia.
Caso letterario dell’anno in Germania, con oltre 400.000 copie vendute e il plauso unanime di pubblico e critica, Tornare a casa è un bestseller indimenticabile che ha incantato davvero tutti.

RECENSIONE

Era lui a volerlo. Veniva a prendersi qualcosa che gli mancava. Una seconda porzione di Brinkebull. Ritrovava cose che potevano ancora tornagli utili, alcune quasi dimenticate. Gli odori e i rumori di quella casa. Il suo trasporto per quel paese, che lo lo conosceva molto meglio di quanto lui non conoscesse se stesso. Era come frugare dentro di sé, mettere in ordine, rovistare su fondi polverosi, riscopriva anche vecchie parole che non aveva più detto né sentito per decenni.

Spesso, molto spesso, sono i luoghi di appartenenza a ricordarci chi siamo e, soprattutto, dove vogliamo andare. La vita potrà anche portarci lontano da quei posti, ma il nostro cuore, la nostra storia, resteranno ancorati per sempre lì, nonostante tutti i nonostante. E se dovessimo faticare nel capire dove vogliamo andare, non dubiteremo mai del dove desideriamo tornare: a casa.

Igwer Feddersen, cinquantenne professore universitario a Kiel, è probabilmente uno dei pochi ad aver avuto l’ardire di seguire una strada diversa da quella tracciata dalla sua famiglia, un vita diversa anche da tutti gli altri abitanti di Brinkebull, piccolo paesino di provincia. Inizia a distinguersi, nello sbigottimento generale, fin da scuola, perché frequenta le superiori (il liceo) a Husum, decide di prestare il servizio civile invece della leva militare, si iscrive all’università, consegue il dottorato, diventa docente. Lui, figlio di Marret “fine del mondo”, una ragazza affetta da ritardo mentale. Lui che viene tirato su dai nonni, Sonke ed Ella Feddersen, messo a spillare birre dietro il bancone della locanda che gestiscono. Potremmo pensare che Ingwer si senta realizzato e soddisfatto di sé, invece scopriamo subito che così non è. Da Brinkebull potranno anche guardarlo come colui che è andato via e ha scalato la vetta, ma Ingwer, nonostante lo studio, la laurea a pieni voti, una carriera e i tanti anni lontano da casa, resta “il ragazzo di paese”, con gli altri si sente inadeguato, diverso, come se a dividerlo dal resto del mondo ci fosse un muro e quel muro si chiamasse “origine”,  ma anche insoddisfazione. Insoddisfazione per la situazione alquanto ambigua con i coinquilini Claudius e Ragnhild, per il doversi sempre sentire sfruttato e inutile allo stesso tempo.

E cosa si fa quando la tua vita inizia a non gratificarti più e vuoi prenderti una pausa da tutto? Torni a casa.

Così Ingwer ritorna a Brinkebull e si rende conto di quanto suo nonno Sonke sia invecchiato, bisognoso di assistenza insieme ad Ella, e decide di rendersi utile, di aiutarli e prendersi cura di quei due novantenni e della locanda che versa in cattive acque. Ma non si tratta solo di questo. Si tratta anche di saldare un debito con loro e con ciò che hanno rappresentato per lui.

Ritrova un paese che è si cambiato molto, ma solo esteriormente, nel concreto è rimasto quello di sempre, un microcosmo popolato da persone che sanno tutto di tutti, chiuse verso chi viene da fuori e incredibilmente coeso quando si tratta di difendere quel loro imperfetto piccolo mondo.

A Brinkebull c’erano molte cose non dette, alcune aleggiavano da decenni per il paese, di casa in casa, di fattoria in fattoria. A volte si posavano un istante, se qualcuno si lasciava sfuggire una parola, per lo più da ubriaco, non proprio a colpo sicuro. Poi riprendevano il largo, accennate e intuite, impronunciabili e già mezze dimenticate. Il silenzio era come una seconda lingua, lo si imparava come si imparava a parlare 

Di cose non dette ce ne sono tante, di carte da scoprire altrettante, e le scopriremo insieme a Ingwer pagina dopo pagina.


Tornare a casa non racconta solo la storia di Ingwer e della sua particolare famiglia, delle difficoltà di crescere in un determinato contesto e in una determinata famiglia e inserirsi, del coraggio di cui dovremmo armarci per lasciarci alla spalle una strada già decisa, è anche e soprattutto la storia di un piccolo paese di provincia, tra retaggio, declino e i cambiamenti ai quali nessuno può opporsi, è la storia dei suoi abitanti ed è la storia di una memoria, di un viaggio oscillante tra presente e passato, il racconto nostalgico di numerosi avvenimenti che compongono l’identità di una comunità, alcuni molto commoventi e di impatto, altri che si fanno ricordare per le riflessioni che impongono. Una dichiarazione di forte amore verso i luoghi che ci hanno plasmati, segnati, cambiati, verso quei luoghi da cui sovente scappiamo, rifiutandoli, ma ai quali non possiamo fare a meno di tornare per ritrovare noi stessi e che ci perdonano, offrendoci una seconda possibilità.


(gifted Fazi Editore)