Tratto da “Un uomo”, di Oriana Fallaci

L’abitudine è la più infame delle malattie perché ci fa accettare qualsiasi disgrazia, qualsiasi dolore, qualsiasi morte. (…) La sera in cui avevi rinunciato a tentare di nuovo la fuga era successo ben questo. Era successo cioè quel che non avresti mai creduto possibile: gli spazi aperti e il verde e l’azzurro e la gente non ti mancavano più. (…) E tuttavia esisteva qualcosa che l’abitudine al buio, alla mancanza di spazio, alla monotonia non avevano spento: la tua capacità di sognare, di fantasticare, e di tradurre in versi il dolore, la rabbia, i pensieri. Più il tuo corpo si adeguava, si atrofizzava nella pigrizia, più la tua mente resisteva e la tua immaginazione si scatenava per partorire poesie. Avevi sempre scritto poesie, fin da ragazzo, ma fu in quel periodo che la tua vena creativa esplose: incontenibile. Decine e decine di poesie. Quasi ogni giorno una poesia, magari breve. Le scrivevi anche se Zakarakis ti sequestrava la carta e la penna, perché allora afferravi una lametta che tenevi da parte per questo, ti incidevi il polso sinistro, inzuppavi nella ferita un fiammifero o uno stecchino, e scrivevi col sangue su ciò che capitava: l’involucro di una garza, un pezzetto di stoffa, una scatola vuota di sigarette. Poi aspettavi che Zakarakis ti restituisse la carta, la penna, copiavi con calligrafia minutissima, attento a non sprecare un millimetro di spazio, piegavi il foglio ricavandone strisce sottili, e lo mandavi nel mondo a raccontare la fiaba di un uomo che neanche nell’abitudine cede. Gli stratagemmi erano vari: buttare i nastrini di carta nella spazzatura perché una guardia amica li raccogliesse, infilarli nelle cuciture dei pantaloni che mandavi a casa per lavare, farli scivolare addosso a tua madre quando veniva a trovarti. Prima però imparavi i versi a memoria, onde prevenirne lo smarrimento o la distruzione, e che battibecchi quando Zakarakis pretendeva di leggerli per censurarli o approvarli. “Dove li hai messi? Dammeli! Non lo sai che in carcere il direttore deve censurare qualsiasi scritto?” ” Lo so ma non posso darteli, Zakarakis. Li ho chiusi nel mio magazzino.” “Quale magazzino?! Voglio vedere il magazzino!” “Eccolo qui, Zakarakis” E indicavi la testa. ” Non ci credo, fottuto bugiardo, non ci credo!” Avrebbe dovuto, al contrario, perché in quel magazzino avremmo trovato, anni dopo, tutte le poesie perdute o distrutte: per pubblicarle in un libro che molti pensavano fosse l’inizio di una carriera letterari.

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