RECENSIONE: “Papà”, di Régis Jauffret (Edizioni Clichy)

Titolo: Papà; Autore: Régis Jauffret; Casa editrice: Clichy edizioni; Traduzione: Tommaso Guerrieri; ISBN 9788867997275; pp 199; € 17,00; Data di pubblicazione 22/09/2020.


TRAMA
Uno sguardo distratto al televisore, casualmente sintonizzato su un documentario dedicato alla Francia di Vichy, ai collaborazionisti, ai rastrellamenti della Gestapo. Improvvisa, inattesa, inaudita, appare un’immagine di Marsiglia, del palazzo dove lo scrittore è nato e cresciuto, di suo padre ammanettato e portato via da due agenti nazisti. Sette brevi secondi che cambiano tutto quello che si era pensato fino a quel momento. Da questo frammento, inverosimile e impossibile, ha origine la discesa di Régis Jauffret nell’abisso insondabile della vita di suo padre. Chi era Alfred Jauffret? Perché gli è così sconosciuto? Perché di quell’uomo rinchiuso nella sua sordità e nella sua bipolarità non ha mai saputo niente? Da cosa nasce questa sua «sete di un padre»? E allora eccolo tessere, smontare, rappezzare i pochi elementi che ha per costruire il suo «papà», parola insieme tenera e spaventosa, facendoci sprofondare come in ogni suo scritto nei magnifici e terrificanti labirinti di ciò che si è veramente, di ciò che non si vuole dire, di ciò che si cerca di nascondere, anche a se stessi. Di ciò che significa scrivere, creare, rimodellare e inventare la realtà. Un inestricabile groviglio di ricordi e di fantasmi, di vero e di falso, di voluto e di negato, di indicibile e di inaccettabile, di sperato e di irrimediabile. Come il Philip Roth di Operazione Shylock, come l’Heinrich Böll di Foto di gruppo con signora, come il Jerome David Salinger di Alzate l’architrave, carpentieri: uno scivolare cercando di aggrapparsi, violentemente attratti da quel buio nel quale si sa esserci forse una qualche verità che ci è inspiegabilmente eppure anche inevitabilmente necessaria.

RECENSIONE

“Io, il narratore, il creatore di storie, l’inventore di destini, ho improvvisamente la sensazione di essere stato generato da un personaggio romanzesco.”

Tutto ha inizio una sera di settembre del 2018, mentre Régis Jauffret sta guardando un documentario intitolato “La polizia di Vichy”, comodamente sdraiato sul divano. Dalle immagini riconosce dapprima il palazzo marsigliese di Rue Marius-Jauffret numero 4, il palazzo della sua infanzia. Poi, ritornando indietro nella breve sequenza, osserva due uomini della Gestapo uscire dal palazzo con un uomo in manette. E’ il 1943 e i nazisti hanno invaso la zona libera. Si concentra sull’uomo in manette, palesemente terrorizzato, e lo riconosce: è suo padre.

Tutti i parenti confermano di riconoscerlo a loro volta, ma in famiglia non si è mai parlato di questo episodio. Decide di fare delle ricerche per sapere tutto quello che può, anche se ha anche timore dell’esito: suo padre era un eroe oppure una spia? Come ha fatto ad uscire vivo dalle mani della Gestapo? Ha denunciato qualcuno?

Da questo episodio inizia un percorso quasi labirintico nei ricordi dello scrittore, lo sforzo di scavare nella memoria e acciuffare quei labili pensieri che vanno trasformandosi con il tempo e che quasi si confondono con l’immaginazione, montando insieme pezzi di vita vissuta, reale, con ricostruzioni possibili. Chi era suo padre, Alfred Jauffret? Lo chiamerà per nome, proprio come fosse un personaggio che sta modellando su carta. E’ possibile entrare nella mente di quell’uomo così estraneo, distante, affetto da bipolarismo e sordità? È lecito sognare il proprio padre? Immaginare un legame che forse non esisteva?

“A cosa servirebbe rievocare il proprio padre morto una trentina di anni prima se fosse con il crudele e pretenzioso progetto di volerlo fare apparire per quello che è stato? Io voglio addomesticarlo, levigarlo, sfumarlo, lucidarlo come un paio di scarpe vecchie ripescate in soffitta. Non vorrei essere costretto a condannarlo senza rimedio, a farne un padre inutilizzabile, impossibile da redimere.”

Ripercorre, così, tutte le tappe salienti che riguardano Madeline (sua madre) e Alfred, proiettando scenari plausibili e costruendo una vera e propria struttura narrativa romanzata attorno ad avvenimenti accaduti, come l’incontro tra i due, il fidanzamento, il matrimonio, il viaggio di nozze, la composizione della famiglia. La sua nascita, la sua infanzia, l’adolescenza e la maturità.

Scava, scava a mani nude nel terreno intricato del passato per delineare un ritratto a tratti severo, implacabile, impietoso e sarcastico, a tratti irriverente e disinibito, a tratti arrabbiato, ma anche pieno di affetto e tenerezza, comprensione e redenzione, per tutto ciò che non hanno avuto insieme. Ci sono passaggi in cui Régis è fortemente diviso tra l’amore per quel padre e il non amore per la consapevolezza di  quello che è stato, o che non vi è stato. Si rammarica per il rapporto che non hanno avuto, per tutte le volte che Alfred non ha provato a creare un legame con lui, per tutto il tempo che non hanno trascorso insieme, per ciò che non hanno condiviso, per l’energia che Alfred non aveva per lui.

A forza di non essere stato quello dei miei sogni mio padre mi fa sognare.

Un padre profondamente imperfetto, chiuso in se stesso, incapace di dimostrare il suo amore, incapace di sentire, in grado però di acutizzare sensi di colpa in un figlio colpevole di non essere “difettoso”, un padre assente ed estraneo, diverso, ma pur sempre un padre, il suo. E Règis vorrebbe ammirarlo, la sua durezza nei suoi confronti lo addolora molto.

Dove porterà l’indagine dello scrittore non solo indirizzata a quel frammento video, ma anche nei meandri più profondi ed intimi della psiche e dell’emotività? A quali conclusioni arriverà?

Cosa sarebbe il passato se fosse un verdetto senza appello, se non si potesse riscriverlo come un racconto crudele rimesso insieme da un mascalzone e farne una fiaba? 

Papà è un romanzo che si appiglia alla nostra coscienza con unghie affilatissime, impossibile rimanere solo sullo sfondo ed assistere da spettatori alla narrazione. Régis Jauffret costruisce un romanzo inclusivo, coinvolgente emotivamente e moralmente, incalzante e potente. Forse anche perché non dice esattamente ciò che ci si aspetterebbe, perché non ripara dietro un conformismo comodo e sicuro, non si nasconde, ma spalanca le porte della sua intimità e perché il lettore è chiamato a districarsi tra realtà e finzione, sentirne il tormento, cercare una conclusione insieme allo scrittore, ed insieme a lui, riemergere da quell’abisso oscuro e misterioso fatto di ricordi e fantasmi, provando a colmare le lacune della storia attraverso frammenti di memoria mescolati alla sapienza di un abile inventore di storie.


Una lettura che mi è piaciuta davvero molto, un libro che ho letto tutto d’un fiato, di cui ho apprezzato molto lo stile e l’intenzione. Spero di leggere altro di questo scrittore.


(Gifted Clichy Edizioni)