Trama
Un romanzo inedito di Rebecca West, autrice della trilogia degli Aubrey.
Harriet Hume, affascinante pianista squattrinata, mistica e stravagante, è l’essenza della femminilità; Arnold Condorex, spregiudicato uomo politico imbrigliato in un matrimonio di convenienza con la figlia di un membro del Parlamento, è un ambizioso calcolatore senza scrupoli. I due si amano: sono opposti che si attraggono, e nel corso degli anni si incontrano e si respingono, in varie stagioni e in vari luoghi di Londra, come legati da un filo sottile che non si spezza mai. La loro relazione si dipana tra il realismo dell’ambientazione cittadina e l’incanto magico della fiaba: le doti musicali di Harriet sconfinano in una stregoneria allegra e un po’ pasticciona, che le permette di leggere nel pensiero dell’amato. Quando Arnold se ne rende conto, diventa ostaggio di questo dono sovrannaturale, grazie al quale Harriet può svelare le macchinazioni politiche alle quali lui è ricorso per anni – e che ancora continuerebbe volentieri a imbastire – per fare carriera. La donna costringe l’amante a fare i conti con se stesso: Harriet è la coscienza di Arnold, la sua parte migliore; è l’integrità, il rifiuto di ogni compromesso, è tutto ciò che Arnold non può manipolare, come ha fatto con la politica e con il matrimonio.
Quel prodigio di Harriet Hume racconta la vittoria dell’amore e della bellezza sull’eterna esigenza maschile di dominio, con uno stile tanto poetico quanto la Londra che celebra, e l’aggiunta di una componente fantastica che dona a queste pagine un tocco magico. La penna di Rebecca West al suo meglio: il brio, la finezza psicologica e il lirismo descrittivo dell’autrice concentrati in un romanzo delizioso.
Recensione
La catastrofe non è stata causata da altri motivi se non dal fatto che improvvisamente ho ricevuto il dono di leggerti nel pensiero.
Questa potrebbe sembrare la storia di un amore interrotto, di un sentimento che soccombe di fronte all’ambizione e al desiderio di rivalsa di uno dei due protagonisti, ma ben presto ci rendiamo conto che il romanzo punta a condurci altrove, mira ad ammaliarci con lo stile fiabesco, poetico e lirico di Rebecca West.
Si, ci sono due persone che si amano, che si amano molto, pur non avendo praticamente nulla in comune, se non le umili origini: Harriet, una donna tanto stravagante quanto seducente, allegra, pianista con una fervida immaginazione, che dà nomi ai fiori e racconta delle favole incantevoli, e Arnold, un uomo che è determinato a farsi strada nel mondo, costi quel che costi, a elevare la sua posizione sociale, un abile calcolatore che attraverso la politica conquista il tenore di vita che per anni ha anelato, sposando, per interesse, la figlia di un membro del Parlamento, abbandonando Harriet, e nemmeno nei migliori dei modi.
Ciò che rende Harriet unica non è solo la sua personalità, ma anche un prodigio: leggere nel pensiero dell’amato. Il dono di chiaroveggenza le permette di sapere, ancor prima che l’uomo apra bocca, le intenzioni reali di Arnold. Ed è così che scopre che l’uomo la sta lasciando per farsi strada nel mondo, scendendo a patti, negoziando, restando una persona mediocre, nonostante il successo delle sue azioni, perché non la lascia per mancanza di sentimenti, bensì nonostante i suoi sentimenti. Perché l’ambizione è il motore del suo cuore.
Si incontrano ancora nel corso del tempo che scorre, dopo due anni e dopo sei anni da quell’ultimo incontro. Arnold la riconosce ad Hyde Park e la segue, consapevole di amarla ancora, ma di averla perduta. Sono pagine ricche di descrizioni meravigliose ed eleganti, poetiche e stilisticamente armoniose, e che ci consentono di godere a pieno della penna di Rebecca West.
L’uomo, che ora è uno che conta e che ha un tenore di vita elevato, un tenore di vita che mai si sarebbe aspettato di poter raggiungere considerate le sue origini, è convinto di aver ferito moltissimo Harriet, di averle spezzato il cuore, di averle causato dolore. Questo è il momento che ho apprezzato di più dell’intera narrazione, il momento in cui la donna lo rimette in riga, ridimensiona l’importanza che Arnold si è dato, sfoderando un’ironia deliziosa: come quando gli dice che, durante la notte della separazione, mangiando sottaceti, si rende conto di provare più dolore allo stomaco che al cuore e che, d’altra parte, per quanto lo amasse non aveva affatto distrutto la sua rubrica degli indirizzi, non è stata male tanto a lungo, insomma.
“Sei forse l’amore? La verità? Non sei la giustizia, anche se sai essere magnanima. Sei la poesia? O la filosofia?”
“Classificami pure come tutto ciò che Arnold Condorex ha respinto.”
Che prodigio, Harriet! Mette con le spalle al muro Arnold, lo mette nella condizione di dover fare i conti con se stesso, le sue macchinazioni, i suoi segreti, con tutto ciò che ha commesso negli anni, pur non giudicandolo, non lo farà mai. Harriet è la voce della sua coscienza. Il conflitto interiore che inizia a prendere piede nell’uomo è forte, come lo smarrimento e la perdita della ragione quasi, e noi lettori seguiremo un lungo flusso di coscienza, fino a un finale… diverso da quello che immaginavamo.
Cosa mi è piaciuto e cosa non mi è piaciuto del romanzo?
Difficile non essere conquistati dalla protagonista, Harriet, un simbolo di indipendenza, autodeterminazione, femminismo, per tanti aspetti. Così briosa, stravagante, originale.
Lo stile si fa ricordare, mi ha trasportata in un altro mondo con il suo tono poetico, di altri tempi.
Non ho, ovviamente, provato nessuna simpatia per Arnold, in diversi momenti avrei voluto lanciargli un secchio d’acqua fredda sulla testa! E non mi ha particolarmente convinta il finale, per ovvie ragioni (allerta spoiler) non posso dire il motivo. L’ho trovato poco coerente con il filo della narrazione, quasi slegato dal resto del romanzo. Diciamo che… avrei preferito una conclusione diversa.
(Ringrazio l’ufficio stampa per la copia del romanzo)