Recensione: “Teresa Filangieri. Una duchessa contro un mondo di uomini”, di Carla Marcone

Cari lettori e care lettrici de La Parola ai Libri,
finalmente riesco a scrivere la recensione di “Teresa Filangieri. Una duchessa contro un mondo di uomini“, di Carla Marcone, pubblicato da Scrittura&Scritture. Dico finalmente perchè non nascondo che anche durante la lettura avrei voluto condividere il mio stato d’animo con voi. Ma, pazientemente, ho assaporato il libro, pagina dopo pagina, respirato l’odore dell’inchiostro, ho indossato le vesti della lettrice che entra nel testo quasi fisicamente, rubato con gli occhi ciò che le espressioni raccontate a volte velatamente stavano cercando di imprimere nella mia mente, preso tutto ciò che aveva da trasmettermi ed elaborato le sensazioni gradualmente. La storia che si mescola al romanzo, il romanzo che si mescola con la storia. Una vicenda avvincente, affascinante, una donna padrona della sua indomita indole da guerriera, non sottomessa al tempo e alle convenzioni, come invece si potrebbe supporre, perché libera nella sua mente, altruista e combattente, forte con le sue fragilità, forse proprio grazie alle sue fragilità, generosa e nobile non solo per il nome o il titolo, ma per il suo cuore di donna. Teresa Filangieri.



TRAMA
All’indomani dell’Unità d’Italia, in una Napoli preda della miseria, dove i bambini poveri sono abbandonati al proprio destino e le orfane spesso diventano spose raccattate, puttane o suore senza vocazione, una duchessa attraversa i vicoli lerci, bussa alle porte dei bassi, interroga la gente, il popolo, per capire, per aiutare e non per sedurre con promesse irrealizzabili.
In questa Napoli lazzara di Michele ’o Belzebù, dove l’azzurro degli occhi di Raffaele si sporca col nero della superstizione della schiena ingobbita del buon Alfonso, Teresa Filangieri concepisce un progetto ambizioso: far costruire il primo ospedale pediatrico per malattie infettive. Per riuscirci deve scontrarsi con il mondo degli uomini, quegli stessi, padri e mariti, a cui le donne ancora appartengono di diritto. Sfida le convenzioni, sottomette l’orgoglio, raccoglie dalla strada gli scugnizzi, ferite purulente che bisogna cominciare a disinfettare.
Carla Marcone mette in scena una Napoli in cui la storia viaggia per conto proprio, separata nei tempi e nei modi dal resto d’Italia, dove vivere è una ricompensa e morire spesso è un privilegio, e ridona luce a una donna dai natali illustri, animata dalla passione civile, dall’amore verso i più deboli, ma troppo in fretta dimenticata dalla Storia.


RECENSIONE

Figlia di un generale e di una principessa, nipote di un illustre scienziato, Teresa nacque nel 1826, nell’ultima stanza di una casa popolata da fantasmi della scienza e della guerra. La sua infanzia, infervorata da storie di valorose gesta ed epiche battaglie, che il padre le raccontava davanti al fuoco nostalgico di un normanno camino, eplorò mobili antichi e libri in latino. La nascita di una femmina fu per il generale Carlo una delusione non nascosta, ma con il tempo imparò ad accettare e amare quella figlia che “Gli sembrava possedesse il cuore intrepido di un maschio.” E, con il senno del poi, credo di poter affermare che avesse proprio ragione. Teresa cresce sotto la ferrea educazione di nonna Carolina, l’austera e tedesca consorte dell’insigne scienziato, (…), tra un rimprovero e l’altro, rigida e impeccabile nel suo eterno abito nero, dava lezioni di letteratura, di latino, di francese e di buone maniere, a quella sciatta nipote nel tentativo di infonderle la grazia di cui era priva. Che Teresa avesse un carattere ribelle e uno spirito indomito, si percepisce fin da subito, da piccoli e grandi particolari, come il preferire la tenuta da amazzone all’abito di taffettà. Furono la durezza e la fermezza di quella educazione così aspramente imposta a farle comprendere, a soli tredici anni, tuttavia, che doveva crescere, e che non poteva permettersi di essere superficiale, che doveva imparare a nascondere l’orgoglio, la rabbia, e qualunque altro sentimento che non fosse appropriato. (…) Aveva un porto sicuro dove gettare l’ancora ogniqualvolta si preannunciava la tempesta, ed era dentro di sé, nel suo cuore intrepido di donna.
Il contesto esterno alle mura della casa in cui Teresa si forma, cresce, diventa consapevole, ci viene descritto molto bene quando fa il suo ingresso nella storia uno dei personaggi che scardinerà non pochi lucchetti narrativi, Michele Esposito detto ‘o Belzebù: “Così ‘o Belzebù, al secolo Michele Esposito, si elevò al di sopra di quel popolo di monelli vestiti di nulla, scaltri e pronti a impadronirsi dei giorni di festa come dei giorni di guerra. Scarni e pallidi figli di una città sempre affamata, dai mille volti, inenarrabile ed evanescente per le sue mille storie, per le sue mille leggende, ingovernabile e fiera, dove l’unico segno di potere è la libertà e l’unico vero sovrano San Gennaro, dove vivere è una rincompensa e morire spesso un privilegio, dove la gente è artefice e strumento, attore e spettatore di una spettacolo che non finirà mai.”
Il contrasto netto, definitivo, spietato e immutabile tra i ricchi e i poveri. Tra la buona società, vestita di tutto punto, osservatrice di etichette e apparenze superstiziose, insuperabili, e la miseria più cruda e polverosa della strada, dei vicoli, dove la fame diventa qualcosa di tattile, pesante come un macigno, disperata come un urlo inespresso. Ed è in questo stato di cose che vediamo muoversi e venire alla luce i personaggi indimenticabili di questo libro. Penso a Michele ‘o Belzebù di cui ho parlato poco fa, che avrà un ruolo di svolta nella vicenda, penso a Maddalena, che restò orfana, con un paio di scarpe senza piedi e una casa dall’odore di carbone e di fumo come unica eredità a soli dodici anni. Penso all’amico di Teresa, Alfonso, forse il precursore di quello che, duramente e con testardaggine, la protagonista riuscirà a realizzare, sempre impegnato in opere di carità e beneficienza, di aiuto per il prossimo, per i meno fortunati, e anche oggetto di impronunciabili improperi, colpevole, secondo la buona società, di portare sfortuna. Penso a Raffaele.
Raffaele.
Chi non si infatuerebbe di questo personaggio?
Della sua dedizione, della sua fedeltà, del suo amore profondo. Dei suoi valori e del suo orgoglio perfino.
Un personaggio che lascia una ferita, una ferita scoperta, dolorosa in noi lettori, e anche in Teresa.
Teresa lo raccoglie dalla strada, lo disinfetta. Gli dice che deve ascoltarla, fidarsi di lei.

Quello scugnizzo era una ferita purulenta che giorno dopo giorno suppurava sempre più. E Teresa era certa che per sanarla bisognava cominciare a disinfettarla. Perché pensava e diceva: “Napoli è un paese ove occorre che qualcuno abbia un poco di coraggio affinché gli altri dopo lo imitino”.

E Raffaele l’ascolta e si fida. E oltre a imparare a leggere, a scrivere, i modi raffinati, diventa maggiordomo. La persona che più di chiunque altro, amerà Teresa, e sarà lì per lei. Anche e soprattutto nei silenzi.
Teresa, che dovrà affrontare molte battaglie, la più grande quella contro il dolore di perdere la sua bambina.
Una donna che crea un ponte di passaggio e collegamento tra quello che si potrebbe realizzare e quello che, secondo le convenzioni, è impensabile creare.
Una donna che ci fa sentire orgogliose di appartenere al genere femminile, che deve essere di esempio e ispirazione. Teresa mi ha permesso di vedere opportunità concrete nelle speranze dei miei sogni, di sentire quanto sia anche indispensabile, forse, soffrire e lottare per raggiungere uno scopo, un obiettivo, un sogno.
Si, mi mi è davvero piaciuta questa lettura.
Perché, vedete, per me un buon libro è sì un testo ben scritto, che tiene conto del contesto, dei tecnicismi, ect.
Tuttavia, fondamentali, sono le emozioni che riesce a trasmettermi e farmi provare. Il segno che lascia dentro di me una volta girata l’ultima pagina. Quando ti senti perso e ritrovato allo stesso tempo, quando ti senti una contraddizione, appagato e non sazio ad esempio, felice di averlo attraversato e concluso, ma infelice perché hai dovuto salutare personaggi ormai cari e familiari. E’ con questo stato d’animo che ho salutato Teresa Filangieri e gli altri personaggi. Grazie a Carla Marcone di averlo scritto e a Scrittura&Scritture di averlo pubblicato. E’ stato un onore leggerlo.

Non smetterò mai di lottare per un futuro migliore, né smetterò mai di crederci. Il cuore pulsante di questa città, della mia Napoli, lazzara e nobildonna, eretica e santa, lurida e immacolata, fetida e profumata, corrotta e dignitosa, buia e luminosa, incivile ed educata, intelligente e stolta, avvelenata e incontaminata, dove ogni cosa è preziosa o non vale nulla, non si fermerà finché ci sarà qualcuno che l’amerà.


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