RECENSIONE: “La ragazza con la macchina da scrivere”, di Desy Icardi (Fazi Editore)

Autrice: Desy Icardi; Titolo: La ragazza con la macchina da scrivere; Casa editrice: Fazi Editore; Collana Le strade; Codice isbn: 9788893256773; Pagine 366; Prezzo € 15,00; Data di pubblicazione: 20 febbraio 2020.


TRAMA

Cosa ricordano le dita? Se la memoria scompare, possono gli oggetti aiutare a ritrovare i ricordi?
Sin da ragazza, Dalia ha lavorato come dattilografa, attraversando il ventesimo secolo sempre accompagnata dalla sua macchina da scrivere portatile, una Olivetti MP1 rossa.
Negli anni Novanta, ormai anziana, la donna viene colpita da un ictus che, pur non rivelandosi letale, offusca parte della sua memoria. I ricordi di Dalia tuttavia non si sono dissolti, essi sopravvivono nella memoria tattile dei suoi polpastrelli, dai quali possono essere liberati solamente nel contatto con i tasti della Olivetti rossa. Attraverso la macchina da scrivere, Dalia ripercorre così la propria esistenza: gli amori, i dispiaceri e i mille espedienti attuati per sopravvivere, soprattutto durante gli anni della guerra, riemergono dal passato restituendole un’immagine di sé viva e sorprendente, la storia di una donna capace di superare decenni difficili procedendo sempre a testa alta con dignità e buonumore. Un unico, importante ricordo, però, le sfugge, ma Dalia è decisa a ritrovarlo seguendo gli indizi che il caso, o forse il destino, ha disseminato lungo il suo percorso.
La narrazione alla ricerca del ricordo perduto si arricchisce pagina dopo pagina di sensazioni e immagini legate a curiosi oggetti vintage: la protagonista del libro ritroverà la memoria anche grazie a questo tipo di indizi, che appaiono ogni volta in luoghi inaspettati, in una specie di caccia al tesoro immaginaria, tra realtà e fantasia.
Dopo L’annusatrice di libri, sul senso dell’olfatto e la lettura, un romanzo appassionante sul tatto e la scrittura, un viaggio a ritroso nella vita di una donna sulle tracce dell’unico ricordo che valeva la pena di essere conservato.


RECENSIONE

È una verità universalmente riconosciuta che una donna in possesso di una lunga storia abbia bisogno di una memoria adeguata. Senza memoria, ogni cosa perde di valore e di utilità, come ad esempio l’oggettino insignificante che stringi tra le dita: freddo al tatto, liscio, di forma circolare e senza alcun valore.

Un vecchio anello per le tende. Questo è il misterioso oggetto che Dalia, la nostra protagonista settantenne, ritrova nella tasca del soprabito, accuratamente avvolto in un fazzoletto ricamato recante le sue iniziali da signorina: D. B., Dalia Buonaventura.

È un oggetto che non le dice né ricorda nulla, che mette da parte, ma che durante la narrazione, tornerà spesso in primo piano, quasi inspiegabilmente, a volerle rammentare qualcosa, qualcosa di importante. Ma cosa?

Negli ultimi tempi, Dalia, dimentica molte cose, in particolare non serba memoria degli ultimi due mesi trascorsi. Un ictus, meglio, un “piccolo incidente”, come preferisce chiamarlo lei, le ha causato un vuoto. E proprio il giorno del suo “piccolo incidente” si stava recando in qualche posto per un impegno importante, di questo ne è certa, altrimenti non avrebbe indossato un vestito elegante.

Riuscire a recuperare quei momenti è arduo. Davanti a lei, solo una serie di indizi che poco le rivelano su quel giorno.

La memoria, tuttavia, si conserva, non sparisce. Viene custodita dalle dita, abilità che si sviluppa con l’addestramento. Questa lezione, Dalia lo rammenta perfettamente, le è stata impartita dalla sua insegnante di Dattilografia, la signorina Pellissero, quando era solo una giovinetta, negli anni di poco precedenti al 1940.


Ora accarezzi la tua vecchia macchina da scrivere; un lieve formicolio ti scorre lungo le dita facendoti fremere i polpastrelli. Colta da un improvviso ghiribizzo, accosti gli scuri della finestra, infili un foglio nel carrello dell’Olivetti rossa e, immersa nel buio, lasci che il formicolio ai polpastrelli svanisca al fresco contatto con i tasti. Le tue dita danzano sulla tastiera seguendo una coreografia che sfugge alla tua comprensione ma che decidi di assecondare e, senza opporre resistenza, inizi a scrivere una nuova storia.

Il ticchettio delle dita di Dalia è il rumore che riempie la nostra lettura, accompagnandoci nella storia, facendo da sottofondo alla voracità con cui assorbiamo il racconto che ci offre. Il senso del tatto affina quello dell’udito, permettendoci di sentire le parole, ci riporta indietro nel tempo, negli anni in cui Dalia è una ragazza di diciassette anni che, in sella alla sua bicicletta, una Bianchi Suprema, alla quale ha assicurato la sua macchina da scrivere rossa, una Olivetti MP1, si dirige verso il centro storico di Avigliana, dove si trova lo studio del ragioniere Borio, presso il quale lavora come dattilografa. Ma non è Dalia a raccontarci la sua vita, è la sua macchina da scrivere, che non è solo un oggetto, ma un legame: cresciuta in fretta, sopperisce, lavorando, alla inettitudine di un padre che si culla aspettando il momento propizio per risollevare le proprie sorti finanziare, dopo aver portato al fallimento la fabbrica di cerini di famiglia. Ma lo stipendio, Dalia, non lo vede nemmeno, perché viene gestito dall’opprimente genitore, una presenza limitante, un educatore severo, un uomo che, nonostante non abbia più una posizione, guarda dall’alto in basso il prossimo, viene chiamato con il titolo di Ingegnere, anche se la laurea non la conseguì mai.

Il periodo storico in cui si muove Dalia con gli altri personaggi del romanzo non è dei più facili: l’Italia, con la Germania, sta per entrare in guerra contro Francia e Gran Bretagna. Da tempo, erano state introdotte misure restrittive nei confronti degli oppositori del regime, degli ebrei, in particolar modo. Attraverso l’esperienza diretta della famiglia Levi, alla quale Dalia è molto legata, in particolar modo a Ester, percorriamo il cammino di dolore ed ingiustizia che investì loro ed altri ebrei.

Nella vita relativamente tranquilla di Dalia, l’incarico di dattilografare sotto dettatura per Nuto Cerri, stimano fascista della prima ora, segnerà un punto di svolta per il suo futuro.

Con il ticchettio dei tasti dell’Olivetti rossa che continua a ricostruire la matassa dei ricordi che compongono la vita dell’anziana Dalia, proprietaria del negozietto di antiquariato “La venditrice di ricordi”, scopriremo le amicizie, gli amori, i sogni, le speranze di un giovane cuore, ma anche le delusioni, gli errori di valutazione, le scelte avventate, gli escamotage per andare avanti, per affrontare gli anni della guerra, i bombardamenti, l’incertezza, l’ignoto. E sonderemo la sua forza, il suo coraggio, il suo spirito d’indipendenza. Soprattutto, arriveremo a sapere dove stesse andando Dalia il giorno del suo piccolo incidente, con un anellino per le tende in tasca.


Desy Icardi sa sempre come ricreare la perfetta atmosfera nei suoi romanzi, coinvolgere i lettori, ammaliare, animando le storie attraverso i sensi, facendo in modo che i personaggi non restino solo sulla carta, ma avvolgano il lettore, come se fossero persone reali. E ai suoi personaggi ci si affeziona, infatti, non si vorrebbe mai salutarli. Non nascondo che, giunta alla fine, ho sentito serpeggiare la morsa della nostalgia. Sarà anche una frase sentita e risentita, ma è vera: non avrei voluto mai finire di leggere. È stato emozionante entrare in questa storia, conoscere Dalia, il ragioniere Borio, Gianni, l’avvenente Marietta Girola, ed è stato altrettanto emozionante ritrovare il memorabile avvocato Ferro, conosciuto ne “L’annusatrice di libri”, tanto prezioso per Dalia durante i bombardamenti, e non solo. L’uomo che ogni donna dovrebbe avere nella propria vita, che non calcola il tempo in ore, giorni o settimane, bensì in libri letti. 

I bei libri erano moltissimi, e la vita umana non bastava che per leggerne una minuscola parte, ecco perché, per risparmiare tempo e guadagnare pagine preziose, aveva dovuto rinunciare a tante cose.

Lo stile è talmente piacevole da rendere la lettura fluida, scorrevole, un giusto equilibrio tra il serio e l’ironico, un taglio che ho molto apprezzato. Ci si emoziona, tanto, ma si sorride altrettanto con “La ragazza con la macchina da scrivere”.

La struttura che Desy ha scelto di dare al romanzo l’ho trovata brillante: il passato e il presente si alternano, creando dinamismo e aspettativa. Ma non solo. Per il passato, per la storia di Dalia giovane, il punto di vista è raccontato in terza persona, ciò segna quasi un confine, marca una distanza tra il presente e quel passato. Affinché il lettore si senta più vicino alla vicenda, avverta con più forza gli eventi, per il presente di Dalia è stata scelta, invece, la seconda persona: il narratore usa il “tu”, si rivolge direttamente alla protagonista.

Altro aspetto da valorizzare è sicuramente la bravura di Desy Icardi nel far sentire perfettamente le peculiarità della cornice storica, del periodo storico vissuto dai personaggi, tra un dettaglio e l’altro, attraverso una descrizione, un dialogo, uno scambio, un avvenimento. L’abbigliamento, l’acconciatura, la moda, il cinema muto, le Piccole Italiane, la censura fascista, le consuetudini, persino i pregiudizi e la mentalità maschilista che volevano le donne un passo indietro rispetto ai loro mariti.


Le letture sono come le amicizie: se scegli quelle sbagliate puoi rovinarti la vita.


“La ragazza con la macchina da scrivere” è un romanzo capace di catturare completamente, assorbire i nostri sensi, stuzzicare l’immaginazione e scaldare il cuore. Un manifesto atto a esaltare la scrittura, come atto fisico, tattile appunto.

Lasciatevi conquistare dalla potenza espressiva e simbolica che caratterizza la prosa di Desy Icardi, la lettura vi porterà ad intraprendere un viaggio alla riscoperta dell’importanza della memoria custodita dagli oggetti stessi, come un anello per le tende, un fazzoletto, una macchina da scrivere.