PRESENTAZIONE
In un paese africano senza nome una donna è partita e non è mai più tornata. Era un’archeologa e aveva una passione per la ricerca delle mummie, non indossava il velo, amava il suo lavoro, era emancipata. Perché è sparita? Qualcuno l’ha costretta o è stata una libera scelta? È davvero scomparsa? L’amore ai tempi del petrolio di Nawal al- Sa‘dawi, uscito in Egitto nel 2011, è un giallo che racconta la condizione femminile non solo nei paesi autoritari ma in ogni società. Forse proprio questo ha spinto l’autrice a non utilizzare nomi, ma solo categorie – donne e uomini – affinché l’immedesimazione potesse essere totale. Donne sottomesse al lavoro, donne che lavorano anche più degli uomini ma senza uno stipendio, che viene invece pagato all’uomo con cui condividono il letto e la casa, a cui sono costrette a dire sempre di sì. Donne omologate. Donne dominate socialmente, economicamente e culturalmente. In questa terra di tirannia le relazioni sociali sono influenzate dal petrolio e dalla sua potenza, che riduce l’intero paese in schiavitù, dipendente da una forza esterna onnipresente. Critica feroce a Mubarak allora saldamente al potere e al suo governo fortemente condizionato da ingerenze esterne, duro attacco alle donne e alla loro paura di andare contro quel che ritengono un destino già scritto e immodificabile, questo romanzo è un’invettiva contro chi tenta di cancellare la storia, non a caso le statue che rappresentano divinità femminili vengono trasformate in divinità maschili… Ma è anche un viaggio onirico: l’archeologa alterna momenti di veglia al sogno, proprio per non essere assorbita dalla vischiosa e torbida monarchia del petrolio, e il lettore la segue incantato rifugiandosi nel suo mondo immaginario fatto di infiniti tentativi di fuga.
RECENSIONE
Vivevano in un sistema dominato dalla sorte, e la sorte non concepiva che un solo tipo di amore, quella fervida passione per la terra e Sua maestà. Forse era per via dei limiti che imponeva il petrolio: la forza della marea e della radice nascosta nelle acque nere, il rombo del vento, il movimento delle onde insieme allo scorrere della corrente.
L’amore ai tempi del petrolio è stata un’esperienza di lettura molto difficile, un cammino tortuoso in una struttura fortemente onirica, intricata, sicuramente di spessore, ma non facilmente fruibile.
Il clima surreale, il continuo alternarsi della suggestione sogno/realtà, il sentimento di confusione, perplessità, del non essere certi di ciò che stia accadendo e a chi, portano il lettore a sentirsi smarrito.
Come si legge nella descrizione di presentazione al testo, la trama verte intorno ad una donna che parte per una vacanza e scompare. Di lei si sa che è una donna istruita, lavora come ricercatrice presso il Dipartimento di Archeologia e che è sposata. Non è chiaro se viene rapita, da chi, se sta sognando tutto o se tutto stia accadendo, se in un dato momento si stia rivolgendo al marito o a qualcun altro, perché si passa repentinamente dal presente al passato senza interruzioni di capitoli o paragrafi.
Non conosciamo molto, quindi, né il suo nome, né quello degli altri personaggi del romanzo, né i luoghi, né cosa le sia successo. O almeno, io non sono sicura di averlo capito.
Posso dire che mi aspettavo un romanzo diverso, perché se la trama resta astrusa a causa di repentini cambi di registro, ambiguità, dialoghi altrettanto ambigui, le tematiche emergono con una nitidezza feroce, con una potenza talmente esplosiva da restare addosso come una colata di petrolio.
Nawal al-Sa’Dawi parla delle condizioni femminili, delle limitazioni delle libertà, senza risparmiare denunce e critiche aspre alla cultura e al potete dei Paesi autoritari, che si reggono su sistemi patriarcali, alimentati dalla sete di potere e influenzati dal Dio petrolio, in cui le donne sono schiave, sottomesse, dipendenti economicamente e socialmente, donne private di tutto, perfino della possibilità di guardare al mondo con gli occhi scoperti perché costrette ad indossare il velo.
Donne che non possono fumare, che non possono scappare, non possono uscire di casa senza il permesso del marito, che non ricevono un salario per il loro lavoro e se lo ricevono è requisito dal marito, che non possono camminare al loro fianco, ma devono tenersi dietro di alcuni passi perché inferiori, che devono subire in silenzio violenze fisiche e psicologiche, considerate peccatrici per natura, che non possono ambire all’indipendenza, alla libera scelta, a fare politica, a credere di poter realizzare qualsiasi cosa.
Donne che indossando il velo diventando invisibili.
Ma Nawal al-Sa’Dawi non risparmia critiche neanche a quelle donne che non alzano il capo, che non tentano di ribellarsi e conquistare i diritti che spetterebbero loro, a quelle donne che accettano passivamente e con rassegnazione uno status imposto, come se non potessero fare nulla per sovvertire le sorti della loro vita. Ribadendo che la lotta non solo è necessaria, ma che rappresenta l’unica via d’uscita, e che le donne devono unirsi, non aspettare che siano altri a riporre nelle loro mani i diritti.
«Non saremo degne di un diritto che prendiamo da mani che non sono le nostre.»
«Così permettiamo a noi stesse di vivere in condizioni che non dovrebbero accettare neppure gli animali.»
«Abbiamo davanti solo un numero ben definito di cose che possiamo fare con le nostre mani.»
«Scappare, per esempio?»
Comprenderete bene che, vista l’importante portata degli argomenti, argomenti che l’attivista, medico e scrittrice egiziana conosce molto da vicino, che fanno, si, provare una rabbia indescrivibile, c’entrando l’obiettivo, ossia quello di scuotere le coscienze e denunciare aspramente un mondo dominato dall’interesse economico di pochi a svantaggio di tanti, avrei preferito leggere un romanzo più lineare, più accessibile, un romanzo alla portata di tutti. Affinché potesse arrivare a tutti.
Mi è stata di grande aiuto la nota della curatrice del testo, Stefania Dell’Anna, al termine del libro, perché mi ha chiarito aspetti concernenti il romanzo in sé e sul contesto, oltre che sull’autrice stessa, ma sento di non averlo apprezzato fino in fondo, non quanto avrei desiderato.
Approfondirò sicuramente ancora la figura di Nawal al-Sa’Dawi, modello di ispirazione per il suo convinto attivismo e per la forza della sua voce che nonostante censure e ostracismo, continua a levarsi alta e potente.
(Ringrazio l’ufficio stampa di avermi offerto la copia del romanzo)