Recensione: “Jane di Lantern Hill”, di Lucy Maud Montgomery (Jo March)

Cari lettori e care lettrici de La Parola ai Libri,
oggi ho il piacere di parlarvi di un romanzo di formazione, per la prima volta tradotto in italiano, pubblicato dalla casa editrice Jo March (alla quale, come ormai saprete, sono molto affezionata), dal titolo “Jane di Lantern Hill”, di Lucy Maud Montgomery, autrice conosciuta per la saga composta da otto volumi “Anna dai capelli rossi“. Ebbene, Jo March ci offre un secondo romanzo, dopo “Il castello blu” (per leggere la recensione clicca QUI), che ci consente di apprezzare a pieno l’autrice, che non è solo la “mamma” di Anne Shirley, ma una donna che ha espresso il suo talento esponendosi ad ogni tipo di pubblico tra i lettori. Con la traduzione di Elisabetta Parri, “Jane di Lantern Hill” inaugura la nuova collana Plumfield di casa Jo March ed è un percorso intriso di difficoltà, crescita, maturazione e ricco di rimandi e significati profondi.


SCHEDA TECNICA

Autrice: Lucy Maud Montgomery
Titolo: Jane di Lantern Hill
Titolo originale: Jane of Lantern Hill
Lingua originale: Inglese (Letteratura americana)
(1937)
Isbn: 9788894142853
Pagine: 254
Collana: Plumfield
€ 14,00
Traduzione di Elisabetta Parri
Introduzione di Mara Barbuni
A cura di Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci

 


TRAMA

Al civico 60 di Gay Street, una tetra e grigia strada di Toronto, spicca un imponente edificio di mattoni rossi, circondato da un’invalicabile recinzione in ferro: qui abitano, come due recluse, la piccola e vivace Jane e sua madre Robin, un’affascinante giovane donna dallo sguardo perennemente malinconico; entrambe sono succubi dell’autoritaria e fredda nonna Kennedy, che pretende di controllare ogni aspetto delle loro esistenze, ponendo un ostacolo insormontabile alla felicità. Jane però sta crescendo ed è sempre più insofferente alle continue interferenze della nonna. Un giorno, però, inaspettatamente, al 60 giunge una lettera dall’Isola del Principe Edoardo: a chiedere di lei è il papà che ha sempre creduto morto. Jane è piena di timori, ma ben presto tutto cambia: trascorre l’estate sull’Isola, scoprendo un luogo incantato, ricco di profumi e colori, e la bellezza mozzafiato del mare, con un padre che non fa fatica ad adorare e una buffa compagnia di nuovi amici. A Lantern Hill, per la prima volta, si sente davvero a casa, eppure alla perfezione manca ancora qualcosa…



RECENSIONE

Gay Street, così Jane pensava da sempre, non era all’altezza del proprio nome. Era certa si trattasse della strada più malinconica di tutta Toronto (…) Invece, Gay Street era tetra e squallida, costeggiata da minacciosi edifici di mattoni vecchio stile, anneriti dagli anni, le cui anguste finestrelle, oscurate dalle imposte, mai avrebbero potuto pensare di fare l’occhiolino a qualcuno. Gli alberi che fiancheggiavano Gay Street erano così vecchi, giganteschi e solenni da sembrare a malapena degli alberi.

Jane, undici anni, vive al numero 60 di Gay Street, a Toronto, con la nonna Kennedy, la zia Gertrude, sua madre, la cuoca Mary Price e Frank Davis, domestico e chauffeur. L’autrice ci porta immediatamente nel suo mondo, non mancando di descrivere accuratamente l’ambiente, riflesso dello stato d’animo della ragazzina, una fine analogia con i suoi sentimenti, e fin dai primi capitoli ci rendiamo conto del ruolo da “tiranno” della nonna, una donna dispotica ed autoritaria, capace di ammansire Jane con uno sguardo, inibendo la sua personalità e opprimendola. Quanto veleno riusciva a mettere in una parola, e come le riesce facile ridicolizzare il prossimo, farlo sentire uno sciocco e un “inferiore”, gretto e volgare. La simbologia, nel romanzo, ricopre un ruolo fondamentale ed è ben palpabile fin dall’incipit, come abbiamo avuto modo di constatare. Quando ci viene presentata l’abitazione, difatti, si menziona anche la grande recinzione in ferro con i suoi cancelli che, ogni sera, vengono sbattuti e chiusi a chiave e che fanno sentire Jane in prigione, reclusa, in una casa che non sente sua, soffrendo la solitudine, le imposizioni, i divieti.

Non si rideva di cuore al numero 60, anche se Jane, incline a vedere il lato bello delle cose, avrebbe potuto riempire con le sue risate persino quell’enorme casa.

In questa prigione lei non è Jane, non può essere chiamata così né sentirsi Jane (suo secondo nome). Viene chiamata con il nome della nonna, Victoria. Anche in questo ho avvertito una forte valenza di simbologia e identità. A tal proposito, leggendo che la giovane Jane si rifugia nella fantasia, nell’immaginazione, per sentirsi libera di esprimersi, mi ha riportata alla mente Valancy Stirling, protagonista de Il castello blu, e il suo mondo d’invenzione in cui era finalmente se stessa. Il rifugio segreto di Jane è la luna.

Il “segreto della luna” di Jane, come lei usava chiamarlo (…) apparteneva a lei soltanto. Parlarne sarebbe equivalso a distruggerlo. Erano ormai tre anni che Jane si avventurava in esplorazioni immaginarie sulla luna. Era uno scintillante mondo di fantasia, dove lei viveva sontuosamente e riusciva a placare una profonda sete dell’anima, abbeverandosi a sconosciute e incantate sorgenti sulle luccicanti colline argentate. (…) dove con i compagni frutto della sua fantasia, mangiava cibi magici e si avventurava attraverso campi fatati, pieni di bizzarri e bianchi fiori lunari. (…) Dato che la luna era tutta d’argento, doveva essere lucidata ogni notte. Il divertimento di Jane e dei suoi amici immaginari nel lucidare la luna non trovava mai fine, avendo loro escogitato un elaborato sistema di ripense e punizioni per i lavoratori eccellenti e per quelli pigri.

 Nemmeno nella costosa scuola privata che frequenta, la St. Agatha, si sente a suo agio, non ha amiche e le compagne la prendono in giro. L’unica persona nella quale riversa affetto e fiducia, e dalla quale si sente amata, è la sua mamma, descritta come una donna molto bella, solare e dolce, benché vittima, a sua volta, del dispotismo della nonna Victoria Kennedy. Ha osato disobbedirle in passato, legandosi al padre di Jane che, ovviamente, la donna non vedeva di buon occhio, essendo povero e privo di mezzi. Alla prima occasione utile, la matriarca di Gay Street, riaccoglie sua figlia e, sotto il peso dell’errore e del pentimento, chiude in una morsa la giovane donna, sottomettendola e tenendola legata a sé. Un’altra persona molto importate per la ragazzina è Jody, sua coetanea, con la quale, nonostante le differenze, stringe una sincera amicizia, e in questo passaggio del romanzo comprendiamo l’essenza più pura del carattere della protagonista, un animo generoso, altruista e buono, che quotidianamente deve fare fronte agli ostacoli che le si parano davanti e con i quali è costretta a convivere, spesso mordendosi la lingua, come se non potesse fare altro che accettare lo stato delle cose. Ebbene, a questo punto accade qualcosa che cambierà la vita della nostra giovane amica. Jane per tutta la sua vita ha creduto che suo padre fosse morto, quando invece scopre che non è così e ha conferma dalla stessa madre, tutto il centro della sua esistenza muta.

Così era vero. Per tutta la vita aveva creduto che suo padre fosse morto, e invece… abitava in quel remoto puntino sulla mappa che, come le avevano spiegato, era la provincia dell’Isola del Principe Edoardo.

Un giorno, in una noiosa mattina d’inizio aprile, al numero 60, arriva una lettera di Andrew Stuart, suo padre, nella quale richiede che Jane passi l’estate con lui. Un fulmine a ciel sereno, inizialmente.
Se fino a questo momento abbiamo assistito a descrizioni ombrose, grigie, tetre, cupe, dal giorno successivo all’arrivo di Jane sull’Isola, il tono è completamente ribaltato. I profumi, i colori, le infinite tonalità e sfumature nelle atmosfere, denotano e caratterizzano una evoluzione non soltanto esteriore, ma anche e soprattutto interiore.

Non era conscia di avere di fronte a sé la cosa più bella del mondo – una mattinata di giugno nell’Isola del Principe Edoardo (…) Un’ondata di profumo, proveniente dalla siepe di lillà che cresceva tra la casa della zia Irene e quella adiacente, la assalì in pieno volto. I pioppi in un angolo del giardino si scuotevano in preda a una verde risata. Un albero di mele allungava le braccia in modo amichevole. Oltre il porto, dove bianchi gabbiani si libravano in aria per poi scendere in picchiata, si scorgevano distanti campi spruzzati di margherite.

L’incontro con il padre è sorprendente, rivelatorio e bellissimo. Tutte le pagine seguite da questo momento mi hanno regalato una lettura straordinariamente dolce, facendomi apprezzare, ancora di più se è possibile, la prosa di Lucy Maud Montgomery, così nitida e precisa, a tratti molto ironica.
Jane, libera di essere se stessa, di sperimentare, di sentirsi non più chiusa in una gabbia, acquista fiducia in se stessa, nelle sue capacità, nella sua sensibilità, non c’è nulla che possa non tentare di fare, in una estate riesce a maturare e a saldare piccole grandi consapevolezze dentro di sè. Insieme a suo padre decide di stabilirsi a Lantern Hill,

 Lantern Hill era all’apice di un triangolo di terra che dava sul Golfo e, su uno dei due lati, era affiancata da Queen’s Harbour. Dune di sabbia lilla e argento le separavano dal mare, estendendosi in una striscia che attraversava il porto, là dove gigantesche e splendide onde blu e bianche si rincorevano sull’immensa spiaggia bagnata dal sol. In mezzo al canale, un faro bianco si stagliava contro il cielo e, sull’altro lato del porto, si scorgevano indistinte creste di colline purpuree, sprofondate nel sonno in un vicedevole abbraccio.

Nuove amicizie, conoscenze ed esperienze, fanno maturare Jane; l’incontro con altre persone le risulta gradevole, ora, nessuno la spia dal buco della serratura e la tiene perennemente sotto stretto controllo. E’ finalmente libera di esplorare, di crescere, di meravigliarsi dei colori e del profumo dell’ambiente che la circonda, di scoprire un sé forte e capace di imparare. Ha un posto che può definire casa, la sua casa.

Aveva sempre desiderato di appartenere a un luogo e adesso era a questo che sentiva di appartenere. Finalmente si sentiva a casa (…)
Questa… questa è casa. Casa: qualcosa che non aveva mai conosciuto prima di allora.
Il mattino a Lantern Hill sembrava diverso dal mattino di qualsiasi altro luogo; più intenso. Il cuore di Jane cantava, mentre era intenta a estirpare le erbacce, rastrellare, zappare, potare e sfoltire.

Non si sente più rifiutata, spaventata, inibita. A Lantern Hill perfino la luna, la sua luna, sembra non avere bisogno di essere lucidata. Suo padre, tenero, sognatore, dolce, tra le altre cose, le insegna la bellezza delle parole, e le apre le porte della spensieratezza. Mentre a Toronto, al civico 60 di Gay Street, vive ai margini delle cose, qui, vive al centro delle cose. Dopo questa estate si sente profondamente cambiata ed è decisamente triste di ritornare alla desolazione e alla prigione della casa dai mattoni rossi.

Il frastuono prodotto dalle cancellate di ferro dietro di lei risuonò come il rintocco di una condanna. Stava entrando di nuovo in prigione.

Ma lei non è più la stessa di prima, e anche la nonna Kennedy dovrà fare i conti con questa evoluzione della nipote. Soprattutto, dovrà fare i conti con tutte le questioni irrisolte, lasciate in sospeso e trascinate durante gli anni, circa il matrimonio fallito della figlia con Andrew Stuart, il suo ruolo in tutto ciò, e la stessa figlia avrà davanti a sé decisioni importanti da prendere, liberarsi dalla gabbia o continuare ad essere manipolata e trattata come una adolescente priva di spirito di indipendenza e di ribellione.


Rivolto ad un pubblico giovane, penso sia una piacevole lettura anche per gli adulti, ricca di rimandi e significati importanti; ogni dettaglio è uno spunto ad una attenta riflessione sui comportamenti, sui sentimenti, su quello che, semplicemente, possiamo chiamare ciclo della vita, durante il quale c’è chi evolve e matura e chi è destinato all’immobilità, vittima e carnefice della sua ottusità.


Consigliatissimo!